| Ed ora ecco a voi il Capitolo 15, con cui si conclude la Terza parte! Enjoy it!Dal Diario di un Chierico... Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo Capitolo 15 - La Maledizione delle Mille LacrimeÈ credenza di molti che la notte rappresenti il male che si contrappone al bene in una girandola senza fine, in cui luce e tenebre alternano la loro supremazia sul mondo alla stregua di bene e male. Quella notte, tuttavia, sette compagni apprezzarono le tenebre come un affamato una tavola imbandita; l’oblio nella torre di vedetta di Pago non era visto con timore, benché fosse decisamente spettrale, ma quasi con desiderio morboso, perché la giornata appena trascorsa li aveva quasi spezzati con il peso di cento fatiche. E tuttavia il giorno aveva ceduto il passo alla sua controparte ombrosa, e ancora una volta il gruppo aveva vinto le proprie battaglie uscendone saldo ed integro. Quella notte, anche se fredda, scomoda e spaventosa, era la loro meritata ricompensa: mai il loro sonno era stato così limpido e felice, perché mai vi era stato un simile dolore da superare. Ma anche la più fredda delle notti è destinata a finire, perciò, uno ad uno, i nuovi abitanti della torre si destano sentendosi nuovamente pieni di energie, lieti che gli eventi del giorno prima non fossero solo un sogno. Insieme agli avventurieri, anche due ragazze hanno trascorso lì la notte: Wally e Tamara, un Halfling e una Ninfa, precedentemente prigioniere della dottoressa Virago, signora della torre. Dorian Wraiten, il Chierico del gruppo, sta discutendo con il compagno Galdor riguardo la prossima mossa da intraprendere, quando Tamara si avvicina loro chiedendo di poter parlare; i due accettano di ascoltarla, e la Ninfa li mette al corrente dei suoi sospetti nei confronti di Wally: racconta infatti di averla vista compiere strani sortilegi magici dall’indubbia natura malvagia, mentre erano prigioniere; ciononostante, non ha mai provato a fuggire dalla cella, come se i suoi intenti fossero quelli di rimanere lì in qualità di reclusa, o meglio, di vittima. Infine li redarguisce a proposito delle spie che i Demoni hanno sguinzagliato in tutte le Terre Dietro l’Angolo, spie che tengono d’occhio l’andamento di tutte le cose che accadono in ogni angolo del continente, e che potrebbero compromettere il buon esito della missione. I due compagni sembrano convinti dalle parole di Tamara, quindi Dorian le dice di non preoccuparsi di niente: avrebbero risolto qualsiasi problema legato a spie nemiche. Tuttavia, appena la giovane si è allontanata, anche Kerwyn avvicina Dorian e Galdor, raccontando loro ciò che Wally gli ha riferito: secondo l’Halfling, Tamara non è una Ninfa, ma un ignobile Demone che ha mutato le sue sembianze per potersi mescolare al gruppo e tenerli d’occhio: una Succube. I due però non sembrano molto convinti dalla versione raccontata al Ladro, e gli espongono il discorso ascoltato poco prima dalle labbra di Tamara. Kerwyn continua tuttavia a fidarsi di Wally, ma i tre non danno a vedere niente di sospetto, e ben presto ritornano alle loro solite occupazioni per non destare sospetti che potrebbero compromettere il legame del gruppo o far indovinare ad eventuali nemici le loro intenzioni. Quando tutti sono pronti, e dopo aver consumato una frugale colazione, gli avventurieri si riuniscono in assemblea per pianificare le mosse della giornata: all’unanimità, tutti sono d’accordo sul fatto che ora bisogna penetrare all’interno delle mura di Pago, forti del fatto che la sorveglianza all’esterno è pesantemente decimata e che ora hanno una base operativa ed un rifugio che potrebbe rivelarsi molto utile. Il quesito che si pone ora è ovvio: in che modo arginare sia la sorveglianza dei nemici, sia le difese esterne, prima tra tutti la barriera di fuoco che si erge ben oltre le mura. Galdor prende subito la parola, e parlando con voce sicura spiega a tutti che la sua idea è un attacco frontale, passando direttamente attraverso la barriera in sella al suo nuovo tappeto volante. L’idea non raccoglie molti consensi; al contrario, Kerwyn storce la bocca mentre Galdor espone loro i dettagli del suo piano con voce quasi esaltata, e Dorian cerca di scoraggiare un approccio così offensivo: «Cerca di riflettere, Galdor. Un attacco frontale implica che riveleremo da subito la nostra presenza, se ancora non ci hanno scoperto. Inoltre, i nemici sono molto più numerosi di noi, e non conosciamo la portata della loro potenza: è troppo rischioso gettarsi su un muro di lance se non sei sicuro che la tua armatura ti proteggerà». Ma Galdor sembra averlo udito a stento, e continua incurante a parlare: «No, no, no, pensateci per un istante!» aveva detto, con una voce acuta che sembrava non appartenergli, «Non si aspetteranno mai un assalto diretto! Di sicuro ritengono la loro barriera impenetrabile, per cui li coglieremo di sorpresa attraversandola! Basterà prendere qualche piccola precauzione». Quindi si cala nei particolari del suo piano, spiegando che secondo i suoi calcoli la barriera avrebbe istantaneamente incenerito chiunque fosse nettamente ostile al modo di agire dei Demoni, mentre si sarebbe limitata a bruciare coloro che si dimostravano disinteressati alla dicotomia tra bene e male: di conseguenza, non c’era modo per Dorian, Xanter e Inejhas di attraversarla senza perdere la vita, a meno di non avere informazioni sufficienti sulla barriera da erigere una protezione totale dai suoi effetti; ma con tutta probabilità Galdor, Joif e Veit non avrebbero avuto simili problemi, e forse persino Wally e Tamara avrebbero potuto accompagnarli. Ancora una volta il Chierico tenta di scoraggiare l’idea del Druido: «Non possiamo dividerci, Galdor, sarebbe una follia! Inoltre non avreste supporto magico, se entrate nella città da soli, e non c’è alcuna garanzia che riusciate a disattivare la barriera senza essere scoperti e sconfitti dalle guardie!». Anche Xanter e Kerwyn sostengono il discorso del Chierico, ma il Druido è irremovibile, e passa ad interrogare uno per uno gli interessati per convincerli ad entrare: Tamara e Wally si rifiutano categoricamente, non avendo alcuna intenzione di rischiare le loro vite a quel modo, e lo stesso vale per Joif, il quale non ha mai visto di buon occhio le azioni del compagno, specie dall’episodio con il Chuul. Veit tuttavia è molto combattuto all’idea di fare strage di Demoni, e l’audacia del piano di Galdor l’ha davvero colpito; è quasi sul punto di accettare, quando Kerwyn gli ricorda senza troppi giri di parole il motivo che ha spinto il fanatico Druido ad attaccare e massacrare quasi interamente il gruppo durante la caccia al Chuul, soltanto pochi giorni prima. Il Guerriero ricorda improvvisamente il triste episodio, e la rabbia torna ad impossessarsi di lui: non aveva mai perdonato il compagno per quello che era successo, né per i futili motivi che lo spinsero ad agire in quel modo, anche se gli ultimi episodi avevano del tutto eclissato la triste vicenda. Riesce tuttavia a controllarsi, e la sua unica reazione è il rifiuto di assecondare il suo piano. Un’ira improvvisa solca il volto di Galdor, e all’improvviso si ode il rombo di un tuono, mentre urla con la voce della tempesta: «Sciocchi, deboli pazzi! Non avete il fegato di seguirmi in mezzo al pericolo e vi definite eroi?! Molto bene, vorrà dire che vi dimostrerò che posso benissimo farcela da solo, dopodiché dovrete ringraziarmi in ginocchio per avervi aperto la strada!». Detto questo, si avvia furibondo verso la terrazza della torre, seguito a ruota dal gruppo che cerca inutilmente di dissuaderlo. Il Ladro al contrario non sembra darsi pensiero per ciò che sta per accadere, ed anzi schernisce il compagno, definendolo un “maniacale cacciatore di gloria”. Lo sguardo di fuoco di Galdor si fissa nei suoi occhi, ma nemmeno questo lo intimorisce minimamente; anzi, lo diverte. Sulla cima della torre, il Druido dispiega rabbioso il tappeto, incurante dei tentativi di Dorian e di Xanter di farlo rinunciare; il principe preferisce lasciare a chiunque la possibilità di decidere come agire, quindi non una parola scaturisce dalle sue labbra con il fine di modificare la situazione; Veit e Joif si limitano ad assistere con espressione dura ma seria, desiderosi di vedere fin dove si sarebbe spinto l’avventuriero; solo Kerwyn sembra affrontare la faccenda con macabra ilarità, e lancia in direzione del gruppetto occhiate di sfida, riferendo con sporadici sguardi, ben più eloquenti di decine di parole, di non credere minimamente al coraggio del Druido. Questi, recepito il messaggio di sfiducia, con maggior convinzione inizia a recitare la formula incisa sul tappeto, il quale infine si solleva ad un metro dal suolo, pronto ad accogliere il proprio pilota; preparato il proprio veicolo, invoca nella sua lingua la protezione della natura, la quale prontamente gli risponde, garantendogli una quasi immunità agli effetti di qualsiasi fuoco o altra fonte di calore. Forte del potere della natura, Galdor è consapevole di poter attraversare senza rischi perfino un’ondata di lava bollente, perciò non è minimamente preoccupato da una semplice barriera lievemente fiammeggiante; inebriato dai suoi stessi poteri, prende dunque posto sul tappeto, scacciando per l’ultima volta le parole che miravano a fargli cambiare idea, e con un ultimo sguardo in direzione dei compagni, al contempo compiaciuto e sprezzante, spicca il volo e si lancia senza la minima esitazione verso il punto di non ritorno. E poi accadde. Nel preciso istante in cui il primo lembo del tappeto ha attraversato la barriera, un lampo di luce azzurrina si spande tutt’intorno, emanando un freddo glaciale che sferza i volti di tutti coloro che stavano osservando la scena: e la barriera d’improvviso aveva mutato il suo colore. Ora, agli occhi di tutti, appariva d’un colore a mezzo tra il bianco ed il celeste, il medesimo colore del ghiaccio, ed il fioco tepore che emanava minacciosamente cede il passo ad un gelo acuto, avvertito solo in parte dal gruppo, al sicuro sulla terrazza della torre. Per Galdor però era troppo tardi per fermarsi: otto paia di occhi sono puntati su di lui, mentre il suo corpo segue il tappeto al di là della barriera di ghiaccio, e al suo contatto le membra si rattrappiscono, il sangue rallenta fin quasi a fermarsi, la brina ricopre interamente ogni parte del corpo del Druido, il quale soffre un dolore spaventoso, mentre perde la sensibilità su gran parte del proprio corpo, rischiando di finire disarcionato; ma questi è un uomo molto forte, e non si lascia vincere con tale semplicità da una trappola del genere. Riesce a mantenere la calma e a ristabilirsi rapidamente grazie ai suoi limitati poteri curativi, e probabilmente avrebbe portato a termine la sua missione, se qualcun altro non fosse stato allarmato dall’attivazione della barriera: ecco che dal nulla tre mostruosi volatili demoniaci, dai più denominati Vrock, lo circondano alacremente, e dirigono i loro artigli nelle sue carni. L’attacco è risoluto e brutale, e non lascia scampo al Druido già debilitato, il quale precipita dal tappeto verso le fredde strade di Pago; incredibilmente però, la vita ancora non l’ha ancora abbandonato, e con un’inaspettata freddezza riesce a manovrare il tappeto fino a piazzarlo sotto di lui, salvandosi da un atroce destino. E tuttavia il pericolo non è ancora stato scongiurato, e gli si para davanti nelle spoglie dei tre Vrock, che nuovamente lo circondano, pronti ad un altro assalto; stavolta però Galdor è pronto, e manovrando abilmente il proprio veicolo si porta al sicuro dagli artigli dei nemici, volando in alto e stagliandosi nel cielo, quale oscuro presagio per gli avversari. «Fatevi avanti, ignobili aberrazioni, affrontate l’ira della natura!» tuona Galdor dall’alto del suo tappeto, invocando nuovamente le antiche potenze, mentre i Demoni si lanciano contro di lui, le fauci spalancate e gli affilati artigli pronti a dilaniarlo: la sagoma del Druido viene avvolta da lucente energia del vivido colore delle foglie, che vortica attorno a lui per qualche istante prima di dissolversi: e il suo posto è stato occupato da un gigantesco orso ringhiante, dotato di artigli in grado di trapassare le più solide tra le corazze. Una cruenta battaglia ha così inizio, alla quale hanno preso parte un membro del gruppo di avventurieri e tre Demoni alati di Pago: i colpi inferti sono estremamente duri, sia dall’una che dall’altra parte, ma l’orgoglioso Druido è solo, e nulla possono fare i suoi compagni per aiutarlo. Xanter tenta di scagliare una freccia in direzione di un nemico, con lo scopo di attirarlo su di sé e facilitare la battaglia all’amico, ma il colpo si infrange sulla barriera, che ne preclude l’accesso e ne scongiura gli effetti. Galdor tuttavia non si accorge del tentativo dei suoi amici di aiutarlo, e in cuor suo la convinzione di essere stato abbandonato si radica e cresce ogni istante che passa; la battaglia va avanti ancora per qualche minuto, mentre l’orso sul suo tappeto si difende strenuamente dalle continue incursioni dei suoi nemici alati, in enorme vantaggio sia numerico che strategico su di lui. Evitando un colpo d’ala che tentava di sorprenderlo alle spalle, Galdor affonda i suoi possenti artigli nelle membrane del Vrock, strappandogli le ali e precipitandolo al suolo; ma la vittoria su un nemico ha valore irrilevante in quel momento, ché le ferite sul corpo del Druido sono numerose e profonde, e il sangue ne sgorga copiosamente, annebbiandogli la vista e rallentandogli i riflessi. I due Demoni rimasti si lanciano dunque in un assalto su due fronti, chiudendo il loro avversario in una morsa d’acciaio e tempestandolo di colpi d’ogni sorta; quella che copriva il suo corpo non era semplice pelliccia d’orso, bensì un carapace incredibilmente duro e leggero, ma nulla poté contro i furiosi attacchi che gli vennero portati contro e, alla fine, Galdor crollò. Mentre riprendeva le sembianze consuete, le gambe non lo ressero più, ed il suo corpo cadde per la seconda volta verso la dura terra maledetta; ma mentre cadeva, il Druido sentiva la collera pervaderlo e, nonostante la distanza, fu certo che Kerwyn dalla terrazza della torre lo stava deridendo; invero si sbagliava, ché Kerwyn non l’aveva mai amato come compagno, ma nemmeno avrebbe gioito della sua morte, soprattutto in un momento così duro. Ma mai questi pensieri si aggirarono nella mente di Galdor, ritenendo egli che Kerwyn fosse della stessa schiatta di quei Demoni che si erano presi la sua vita: e lo odiò con tutto se stesso. La sua caduta rallentò fin quasi ad arrestarsi, mentre con il suo ultimo alito di vita pronunciava parole cariche di rabbia furiosa e di risentimento soffocante, il cui potere veniva amplificato e plasmato dalla sua anima tormentata. «Che tu sia maledetto per sempre, Kerwyn Eagleye! Possa la tua vita futura essere ricca di piaghe e sofferenze, così come lo è stata la mia! Giuro sulla mia anima che il mio odio per te non si estinguerà mai, e dovesse costarmi tutto ciò che mi resta, ti auguro una fine tanto miserabile quanto irrevocabile, Kerwyn Eagleye!!». Queste furono le terribili parole che pronunciò prima di dipartirsi per sempre dal mondo, o almeno quelle che supponeva aver detto. Giacché in quel momento dalle sue labbra uscirono vocaboli che grondavano malvagità, in una lingua talmente abietta e mostruosa che perfino i Demoni non osavano pronunciarla, se non in sporadiche occasioni e con ottimi motivi. E in quel momento Galdor il Druido non esisté più. Il suo corpo fu bruciato da un fuoco più nero dell’oblio eterno, e la sua anima venne mutilata di ogni sua parte, e fatta definitivamente a brandelli da falci invisibili di creature tanto potenti quanto immonde, ed ogni suo frammento patì da quel momento un dolore incommensurabile ed eterno; persino il suo ricordo fu spazzato via dalle menti di chiunque l’avesse mai conosciuto, e nessuna traccia rimase nel mondo di lui, né tangibile né trascendente, ché la fosca maledizione da lui lanciata aveva esatto il proprio tributo. Fu in quel momento che un tetro lampo silenzioso calò dal cielo, oscurando tutto ciò che aveva intorno a guisa d'un telo che venga calato su di una candela; e quivi s’infranse su Kerwyn, il quale venne sollevato dal terreno mentre nocive energie lo penetravano con forza devastante, avvizzendone il corpo e la mente, disgregandone la giovinezza e condannandolo anzitempo ad un destino di sofferenza quale Galdor l’aveva invocato per lui. Sulla terrazza della torre, a poca distanza dalle mura della città di Pago di Val Torkmannorack, cinque avventurieri, un principe e due prigioniere si riscuotono da un’innaturale sensazione, come se un sonno improvviso li avesse colti e poi abbandonati, permettendo loro di ridestarsi; ma presto i ricordi riaffiorano alle loro menti, e l’immagine di ciò che è successo pochi attimi fa si imprime a fuoco nelle loro memorie. E tutti rivedono col pensiero la sagoma di un essere umano che sale su un tappeto ed attraversa la barriera, per poi essere sconfitto da una pattuglia di Demoni che lo scorge in lontananza; e non uno di loro evita di rabbrividire, ripensando alle tenebrose parole da questi pronunciate prima della fine, ed al fosco lampo terribile, calato come sentenza su Kerwyn. Questi ora si sente vecchio e stanco, sebbene il suo aspetto fisico sia quello di sempre, e a nulla valgono i vani sforzi di Dorian e di Inejhas di cancellare, o quantomeno di alleviare, il suo dolore; a riprova di ciò che era il suo destino, ora un singolare insetto ronza intorno al Ladro, dal nero colore e dalle ali coperte di artigli, quasi un Demone in miniatura, eppure ancora più malvagio. E niente poteva scacciarlo o allontanarlo, ché per quanto si provasse, questi tornava nuovamente a girare attorno alla sua vittima, senza concedergli un istante di tregua. Xanter e Veit corrono a sorreggere il loro compagno, il quale respira faticosamente e si sente la febbre alta. «Cosa gli è accaduto?» domanda preoccupato l’Elfo, mettendo a sedere in terra il Ladro. Sui volti di Inejhas e di Dorian si delinea un’espressione di dolorosa impotenza, ma nessuno dei due accenna una spiegazione. Lo sguardo di Xanter è tuttavia tagliente quanto le sue lame, sicché il Chierico gli risponde: «Qualcuno la cui caparbietà non conosce confine ha scagliato un potente anatema sul nostro compagno, detto da molti “Maledizione delle Mille Lacrime”. In cambio della propria anima e di eterna dannazione, una maledizione di ineguagliabile potere affligge il bersaglio; tuttavia non c’è alcuna speranza di redenzione per colui che ha pronunciato le fatidiche parole, e il dolore che patirà alla lunga lo farà pentire mille volte di un tale gesto, e in preda al delirio finirà per maledire se stesso ed il resto del mondo. Mi chiedo come possa esistere un essere vivente capace di una simile decisione». «Ciò che dici è terribile, Dorian» commenta addolorato Xanter, «non c’è niente che tu possa fare per lui?». Ma a malincuore il Chierico spiega che le sue attuali capacità non sono neanche lontanamente sufficienti a combattere un potere tanto grande e malvagio. Cala dunque un silenzio pesante che riempie i cuori di tutti i presenti d’angoscia. D’improvviso però una luce si accende sul volto del giovane sacerdote, il quale torna a sorridere speranzoso. «Forse qualcosa che possiamo fare c’è» dice con voce insieme rinfrancata e grave, «ma dovremo metterci in viaggio per il nord, e non ci sono garanzie di successo. Potrebbe rivelarsi un completo fallimento». «Non importa» risuona la voce di Veit, con l’impeto di sempre, «Kerwyn è nostro compagno, e se c’è anche una sola speranza vale la pena fare tutto ciò che è in nostro potere per farla avverare!». «Molto bene, allora. Preparatevi a partire, stiamo per tornare a Norbat, dove chiederemo aiuto al mio maestro, l’arcidiacono del clero di Kord, il maestro Kergorbart! Se c’è una persona che può aiutarci, è proprio lui». Tutti si mostrano concordi con l’idea di Dorian, e il gruppo si mette subito in cammino, per raggiungere Norbat il più presto possibile; man mano che si allontanano dalle terre infestate di Pago, le forze di Kerwyn sembrano in parte rinvigorirsi, fino a permettergli di camminare con le proprie gambe, come decide espressamente di fare. All’improvviso, a causa di una situazione totalmente imprevedibile, il gruppo aveva cambiato itinerario e destinazione, dirigendosi verso la città natale di Veit, la stessa in cui Dorian era stato investito dei poteri e delle responsabilità dei Chierici di Kord. Ora il bisogno li spingeva nuovamente nella città che era stata la loro patria per molti anni, ma non era concesso loro di gioire prima del tempo: chissà cosa sarebbe accaduto, qualora si fossero trovati al cospetto dell’arcidiacono Kergorbart...
Fine della Terza Parte Nota per i lettori: Per coloro che non l'avessero intuito, la Maledizione delle Mille Lacrime è in realtà una Maledizione in punto di morte, (trattata nel Libro delle Fosche Tenebre) da me rinominata in questo modo per non rovinare il pathos della narrazione. Verrà d'ora in avanti denominata così in tutto il Diario. Nota II - La vendetta: Vorrei scusarmi per i bruschi passaggi dalla narrazione al presente a quella al passato e viceversa, ma non ho trovato altro modo di rendere la drammaticità delle cose. Spero non sia di troppo disturbo alla lettura. Ecco fatto! Alla prossima !Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:11
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