Le Terre Dietro l'Angolo, Tra Ghiottoni, Trogloditi, Demoni e Polli Volanti, l'avventura del mitico gruppo

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view post Posted on 30/1/2009, 18:33

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Eccomi di nuovo! Anche se in forte ritardo continuo instancabile a riportarvi le avventure delle Terre Dietro l'Angolo! Ed eccovi il Capitolo 14!

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 14 - L'alba di un nuovo giorno
I
n cima alla torre di vedetta che si ergeva imponente appena oltre le mura della città fortificata di Pago di Val Torkmannorack, un principe e tre coraggiosi avventurieri aspettavano con impazienza il ritorno di due dei loro compagni, uno dei quali era volato incontro a quello che forse era il nemico più terribile incontrato finora per sfidarlo in un duello mortale dagli esiti quanto mai incerti. Kerwyn invece era semplicemente scomparso davanti ai loro occhi, mentre tentava di gestire i poteri infusi in un piccolo pugnale da poco trovato. I quattro non dubitavano del fatto che i compagni fossero ancora vivi, ma erano ormai passati molti minuti e di loro non c’era ancora nessuna traccia.
Dorian e Inejhas sono intorno al corpo straziato del loro povero compagno Joif, brutalmente ucciso dallo stesso Demone che Xanter aveva deciso di inseguire; le loro preghiere sono rivolte a due divinità molto diverse tra loro, ma la supplica per l’anima di un coraggioso avventuriero è recitata con la stessa veemenza e la stessa contrizione. Galdor e Veit attendono in silenzio, e l’attesa è sia per la fine delle preghiere che per il ritorno dei loro due amici dispersi; i due sacerdoti infine tacciono, ed un silenzio innaturale per quel luogo cala denso e opprimente, come una valanga di argilla. Il possente maestro di spada però decide di infrangerlo, pur sapendo quanto vuote possano apparire le sue parole.
«Dorian, Inejhas, in quella gabbia ci sono ancora quelle due ragazze. Che ne dite se...».
«Sì Veit, liberale» gli risponde il principe con voce roca. Veit allora afferra la porta della cella e con un movimento secco scardina le sbarre, creando un’apertura larga abbastanza per tre persone, poi trascina fuori i due corpi inerti con l’aiuto di Galdor e li deposita delicatamente al suolo, in un angolo pulito del pavimento a poca distanza da quello del Bardo. I due guaritori danno loro un’occhiata e, dopo aver detto con certezza che sono soltanto svenute e che non presentano ferite al di fuori di qualche lieve contusione, cercano di farle rinvenire.
In quel momento però, nel cielo si staglia una figura dalla sagoma massiccia ed informe, ed inizia a scendere velocemente nella loro direzione: i quattro la scorgono ed imbracciano le armi pronti a fronteggiare il nuovo abominio che li sta attaccando; gli incantatori, avendo dato fondo all’intera riserva di magia, si preparano ad uno scontro armi in pugno, mentre Veit cerca di ignorare gli indolenzimenti causati dalle numerose ferite che ha riportato nel corso dei numerosi scontri. Ma quando la figura è a qualche metro da loro, tutti riescono a vedere che si tratta di due creature, una sulle spalle dell’altra: Xanter e Kerwyn toccano terra in un silenzio innaturale per quel luogo, mentre i quattro compagni li fissano abbassando le armi con mani tremanti. Per istanti che sembrano durare ore, non un solo muscolo viene flesso, come se il tempo si fosse fermato, e i sei uomini non fanno altro che guardarsi tra loro. Infine, un abbraccio suggella quello che forse è il primo momento di pura felicità che li accomuna da quando hanno lasciato l’accogliente Norbat.
Xanter si sente felice oltre ogni immaginazione; tuttavia però, rivedendo il corpo straziato di Joif, un’ondata di tristezza lo avvolge nuovamente. Ma prima che l’Elfo possa pronunciare una sola parola, una delle due prigioniere inizia a mugugnare, poi si contorce lentamente ed apre gli occhi: messo a fuoco il paesaggio intorno a lei, si accorge di non essere più all’interno della gabbia, mentre numerose paia d’occhi la fissano con espressioni che vanno dalla curiosità alla meraviglia. Inizialmente allarmata dai nuovi individui, si calma quando sente la voce del principe che le garantisce che tutto sarebbe andato per il meglio. La giovane, dalle fattezze umane, è davvero una ragazza molto attraente, dal corpo scultoreo nonostante la prigionia l’abbia molto provata; le vesti logore e la pelle sporca e non sono sufficienti ad offuscare la sua bellezza, ma sul suo viso continua a balenare la sua diffidenza nei confronti degli sconosciuti che le sono comparsi davanti.
Inejhas le ripete di non preoccuparsi, la avvolge col suo mantello e le chiede con grande gentilezza il suo nome; la ragazza, stringendosi addosso il morbido tessuto donatole, risponde con voce tremante di chiamarsi Tamara; quindi, incitata ancora dal principe, racconta di essere una Ninfa, di essere stata catturata da un gruppo di Derro nel bosco circostante, e di essere stata tenuta prigioniera qui come sacrificio umano per gli esperimenti della dottoressa. Mentre parla però, il suo sguardo si posa sul cadavere di Joif, disteso poco lontano, e il suo viso la fa innamorare perdutamente, a tal punto che si lancia sul suo corpo e lo stringe forte a sé, baciandone il viso in preda alle lacrime; Dorian rimane sgomento di fronte alla situazione, ma subito tenta di allontanare Tamara dal corpo straziato del loro compagno. La ragazza però continua a stringerlo con forza, e alla fine il braccio di Joif si strappa all’altezza della spalla, lasciando tutti i presenti a bocca aperta: Tamara continua a stringere il braccio, mentre Dorian la mantiene incredulo, con gli occhi fissi sul moncherino.
In quel momento, anche l’altra ragazza si alza in piedi, ridestata dal rumore e degli schiamazzi intorno a lei; a differenza di Tamara, questa è un Halfling che dice di chiamarsi Wally e, al contrario della Ninfa, Wally non si dimostra diffidente nei confronti dei suoi salvatori, bensì li ringrazia di cuore per averla sottratta ad un crudele destino; tuttavia lancia furtivamente un’occhiata di diffidenza a Tamara e, anche se senza darlo a vedere, si siede nel punto più lontano da quest’ultima.
Dorian però è ancora troppo preso dalle condizioni del corpo per fare molto caso a Wally, e dopo aver faticosamente recuperato il braccio perduto lo dispone nuovamente vicino al corpo, sentendosi avvolgere dalla tristezza per l’ingiusta fine del fedele amico. Nonostante in passato sia stato fonte di numerosi problemi per il gruppo, Joif rimaneva un membro della compagnia a tutti gli effetti, e come tale era una sorta di fratello per tutti. Ma ora il suo corpo privo d’anima giaceva inerte ai piedi di Dorian, a mo’ di un’anfora spezzata da cui è fuoriuscito il prezioso liquido ivi contenuto, e il Chierico non aveva i mezzi necessari per restituirgli la vita. Sconsolato, si gira verso il Paladino e mormora: «Principe Inejhas, io conosco i miei limiti e so di non poter far nulla per il povero Joif, almeno non qui e non in queste condizioni... Lei per caso non potrebbe trovare un rimedio per l’ingiusta fine del nostro compagno?».
«Ecco... io...» balbetta incerto il principe.
«Questo significa che c’è una speranza?» incalza Dorian, sulle cui labbra si disegna un sorriso di felicità.
«Beh, si dà il caso che porti con me questa pergamena» risponde il Paladino con voce rassegnata, tirando fuori dalla borsa un cilindro di legno finemente decorato contenente un rotolo dall’indubbio valore, «ma la tenevo da parte per i momenti difficili...».
«Momenti difficili, dice?» gli fa eco il Chierico, con un alone di rimprovero nella voce. «Qui abbiamo un compagno a terra, un compagno che ci ha seguito in questo periglioso viaggio, che ha messo la sua vita in pericolo decine di volte per garantirci la vittoria. Senza di lui probabilmente non saremmo neanche qui, anche se il suo apporto in battaglia non è pari a quello di Veit o di Xanter! Non so cosa lei intenda per “momenti difficili”, ma io sono dell’opinione che Joif meriti la vita, anche se lei non si fida del suo buon cuore».
Infine Inejhas consegna la pergamena nelle mani di Dorian il quale, dopo aver ringraziato il principe ed averlo lodato per aver fatto la cosa giusta, apre lentamente il cilindro tirando fuori il rotolo di pergamena; il materiale è piuttosto comune, ma da ogni goccia di inchiostro traspare un potere magico che va al di là di quello che i presenti sono in grado di maneggiare quotidianamente: probabilmente solo Dorian era in grado di usufruire del potere della pergamena senza correre rischi.
Ad una prima occhiata, il sacerdote intuisce al volo che il potente incantesimo ivi riportato è una Resurrezione, e ringrazia gli dei per aver ascoltato le sue preghiere. Quindi prepara tutto il necessario per riportare in vita il compagno defunto, stendendo a terra un tappeto su cui adagiarlo e cospargendolo di tutto il necessario per compiere il rituale nel migliore dei modi. Infine, dopo aver recitato le preghiere ai defunti ed il requiem in loro onore, Dorian srotola la pergamena e la mantiene innanzi a sé, leggendone ogni parola con voce tonante e fiera, mentre le forze magiche lo circondano facendolo brillare come un fuoco di colore verde. Accanto a lui, tutte le ferite doloranti trovano sollievo, e pur non risanandosi del tutto smettono di sanguinare e di dolere, mentre la vita danza intorno al Chierico, ormai completamente immerso nel rituale. Ad un tratto, la pergamena nelle mani di Dorian si illumina fino ad emanare un bagliore di luce dorata; poi, con un leggero boato, la luce si disperde, e con essa tutti i frammenti della pergamena, portati via dal vento. Ma l’energia non abbandona il corpo di Dorian, trasformandosi anzi in un vero e proprio vortice, mentre il Chierico compie una grande fatica per controllarne il flusso ed impedirne la dispersione. Numerose gocce di sudore imperlano la sua fronte, quando inizia a manipolare il vortice, spingendo l’energia sul corpo di Joif, ma all’improvviso gli altri avventurieri odono numerose voci provenire dalla scalinata esterna: affacciandosi, Kerwyn vede che un vasto gruppo di Derro si sta dirigendo sulla cima della torre, probabilmente allarmato dal volo compiuto da Xanter pochi minuti prima. Anche gli altri si accorgono dei nemici, e Inejhas urla loro: «Fermiamoli, presto! Se raggiungono Dorian e ne interrompono il lavoro tutta la sua fatica finirà sprecata! E nel peggiore dei casi potrebbe generarsi un abominio semivivo dal corpo di Joif, quindi per nessuna ragione dovranno avvicinarsi al luogo del rituale!».
Ancora una volta, dunque, gli avventurieri mettono mano alle loro armi, cercando di ignorare la stanchezza che è tornata a farsi sentire dopo l’allontanamento da vortice. Wally e Tamara, che finora avevano assistito silenziose al rituale clericale, corrono ora a rifugiarsi lontano dalla battaglia.
Il fiume di Derro mise finalmente piede sulla terrazza intrisa di sangue. Per un momento i loro sguardi si posarono sulle figure che sbarravano loro la strada armi alla mano. E la paura si impossessò dei loro cuori.
Fu un attimo. Le possenti ed intarsiate lame che si ergevano fiere a difesa di un loro compagno ondeggiavano nel cielo con un moto quasi ipnotico. Ma più velocemente di un battito di ciglia esse erano diversi metri più avanti, immobili nell’aria dopo essere state agitate con micidiale maestria dai loro proprietari. E intorno a loro brani di carne di Derro galleggiavano nell’aria che ancora una volta aveva l’odore del sangue, prima di cadere in terra con un tonfo sordo che scandiva il volgere della battaglia.
Il piccolo gruppetto riesce a bloccare i soldati sul ciglio delle scale, impedendo loro di circondarli; la schiacciante superiorità numerica dei Derro sembra irrilevante in quel momento, mentre i cinque avventurieri abbattono frotte di nemici con un’innaturale freddezza, propria della guerra aperta. La grande esperienza maturata nel corso di mille battaglie ora si riversava con tutta la sua forza sulle fila delle creature, che da assediatori si erano tramutate in prede. In breve, i nemici erano stati decimati, e i pochi sopravvissuti fuggivano urlando nella foresta, dove probabilmente i Treant non avrebbero riservato loro un destino migliore.
Nel corso della battaglia Dorian non ha prestato la minima attenzione agli eventi che lo circondavano, essendosi totalmente estraniato dal mondo per garantire la felice riuscita della delicata operazione che aveva intrapreso. Ma quando i cinque si girano nella sua direzione, notano subito che il vortice è scomparso, e che una freccia è conficcata nel fianco del sacerdote. Quando però questi si alza per rimettere a posto il materiale utilizzato, tutti vedono con letizia che il corpo di Joif è nuovamente integro, e che le sue mani si aggirano nella sua borsa, intente a cercare il proprio equipaggiamento. Nonostante la ferita, Dorian doveva essere riuscito a mantenere la concentrazione necessaria a portare a termine il lavoro: ora Joif era di nuovo un membro del gruppo.
Terminata l’ispezione, e appurato che ogni cosa è al proprio posto, il Bardo si alza e viene circondato dai compagni, felici di riaverlo al loro fianco; i suoi occhi però si posano sulle due ragazze poco lontano, e le sue gambe si muovono automaticamente nella loro direzione, mentre dalla bocca fuoriescono discorsi galanti al loro indirizzo. Tamara è subito conquistata dall’approccio del Bardo, Wally invece sembra poco interessata, ed avverte il gruppo che si sente molto stanca. Gli avventurieri, dunque, decidono che la loro giornata finiva lì, e rientrano nella torre seguiti da Wally e Tamara; le porte vengono bloccate e i rimanenti incantesimi protettivi vengono lanciati per proteggere il sonno del gruppo. Alla fine, dopo che ognuno di loro ha trovato un posto comodo dove dormire, i nove giovani chiudono gli occhi e cedono finalmente l’iniziativa all’oblio della loro mente, ristorando il corpo e interrompendo quel frenetico susseguirsi di scontri, battaglie e violenza, almeno per quel giorno.
Era stata forse la giornata più lunga della loro vita, durante la quale le loro vite sono state sul filo del rasoio innumerevoli volte. Alla fine della giornata le loro forze erano ormai agli sgoccioli, e i dolori e gli acciacchi hanno perseguitato il loro sonno. Tuttavia, quella notte è stata una notte felice per gli avventurieri, perché dopo moltissimo dolore, finalmente un capitolo della loro vicenda si concludeva con un lieto fine, mentre i loro cuori erano proiettati verso l’alba di un nuovo giorno.


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:10
 
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view post Posted on 25/2/2009, 19:17

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Ed ora ecco a voi il Capitolo 15, con cui si conclude la Terza parte! Enjoy it!

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 15 - La Maledizione delle Mille Lacrime
È
credenza di molti che la notte rappresenti il male che si contrappone al bene in una girandola senza fine, in cui luce e tenebre alternano la loro supremazia sul mondo alla stregua di bene e male. Quella notte, tuttavia, sette compagni apprezzarono le tenebre come un affamato una tavola imbandita; l’oblio nella torre di vedetta di Pago non era visto con timore, benché fosse decisamente spettrale, ma quasi con desiderio morboso, perché la giornata appena trascorsa li aveva quasi spezzati con il peso di cento fatiche. E tuttavia il giorno aveva ceduto il passo alla sua controparte ombrosa, e ancora una volta il gruppo aveva vinto le proprie battaglie uscendone saldo ed integro. Quella notte, anche se fredda, scomoda e spaventosa, era la loro meritata ricompensa: mai il loro sonno era stato così limpido e felice, perché mai vi era stato un simile dolore da superare.
Ma anche la più fredda delle notti è destinata a finire, perciò, uno ad uno, i nuovi abitanti della torre si destano sentendosi nuovamente pieni di energie, lieti che gli eventi del giorno prima non fossero solo un sogno. Insieme agli avventurieri, anche due ragazze hanno trascorso lì la notte: Wally e Tamara, un Halfling e una Ninfa, precedentemente prigioniere della dottoressa Virago, signora della torre.
Dorian Wraiten, il Chierico del gruppo, sta discutendo con il compagno Galdor riguardo la prossima mossa da intraprendere, quando Tamara si avvicina loro chiedendo di poter parlare; i due accettano di ascoltarla, e la Ninfa li mette al corrente dei suoi sospetti nei confronti di Wally: racconta infatti di averla vista compiere strani sortilegi magici dall’indubbia natura malvagia, mentre erano prigioniere; ciononostante, non ha mai provato a fuggire dalla cella, come se i suoi intenti fossero quelli di rimanere lì in qualità di reclusa, o meglio, di vittima. Infine li redarguisce a proposito delle spie che i Demoni hanno sguinzagliato in tutte le Terre Dietro l’Angolo, spie che tengono d’occhio l’andamento di tutte le cose che accadono in ogni angolo del continente, e che potrebbero compromettere il buon esito della missione.
I due compagni sembrano convinti dalle parole di Tamara, quindi Dorian le dice di non preoccuparsi di niente: avrebbero risolto qualsiasi problema legato a spie nemiche. Tuttavia, appena la giovane si è allontanata, anche Kerwyn avvicina Dorian e Galdor, raccontando loro ciò che Wally gli ha riferito: secondo l’Halfling, Tamara non è una Ninfa, ma un ignobile Demone che ha mutato le sue sembianze per potersi mescolare al gruppo e tenerli d’occhio: una Succube.
I due però non sembrano molto convinti dalla versione raccontata al Ladro, e gli espongono il discorso ascoltato poco prima dalle labbra di Tamara. Kerwyn continua tuttavia a fidarsi di Wally, ma i tre non danno a vedere niente di sospetto, e ben presto ritornano alle loro solite occupazioni per non destare sospetti che potrebbero compromettere il legame del gruppo o far indovinare ad eventuali nemici le loro intenzioni. Quando tutti sono pronti, e dopo aver consumato una frugale colazione, gli avventurieri si riuniscono in assemblea per pianificare le mosse della giornata: all’unanimità, tutti sono d’accordo sul fatto che ora bisogna penetrare all’interno delle mura di Pago, forti del fatto che la sorveglianza all’esterno è pesantemente decimata e che ora hanno una base operativa ed un rifugio che potrebbe rivelarsi molto utile. Il quesito che si pone ora è ovvio: in che modo arginare sia la sorveglianza dei nemici, sia le difese esterne, prima tra tutti la barriera di fuoco che si erge ben oltre le mura.
Galdor prende subito la parola, e parlando con voce sicura spiega a tutti che la sua idea è un attacco frontale, passando direttamente attraverso la barriera in sella al suo nuovo tappeto volante. L’idea non raccoglie molti consensi; al contrario, Kerwyn storce la bocca mentre Galdor espone loro i dettagli del suo piano con voce quasi esaltata, e Dorian cerca di scoraggiare un approccio così offensivo: «Cerca di riflettere, Galdor. Un attacco frontale implica che riveleremo da subito la nostra presenza, se ancora non ci hanno scoperto. Inoltre, i nemici sono molto più numerosi di noi, e non conosciamo la portata della loro potenza: è troppo rischioso gettarsi su un muro di lance se non sei sicuro che la tua armatura ti proteggerà».
Ma Galdor sembra averlo udito a stento, e continua incurante a parlare: «No, no, no, pensateci per un istante!» aveva detto, con una voce acuta che sembrava non appartenergli, «Non si aspetteranno mai un assalto diretto! Di sicuro ritengono la loro barriera impenetrabile, per cui li coglieremo di sorpresa attraversandola! Basterà prendere qualche piccola precauzione».
Quindi si cala nei particolari del suo piano, spiegando che secondo i suoi calcoli la barriera avrebbe istantaneamente incenerito chiunque fosse nettamente ostile al modo di agire dei Demoni, mentre si sarebbe limitata a bruciare coloro che si dimostravano disinteressati alla dicotomia tra bene e male: di conseguenza, non c’era modo per Dorian, Xanter e Inejhas di attraversarla senza perdere la vita, a meno di non avere informazioni sufficienti sulla barriera da erigere una protezione totale dai suoi effetti; ma con tutta probabilità Galdor, Joif e Veit non avrebbero avuto simili problemi, e forse persino Wally e Tamara avrebbero potuto accompagnarli.
Ancora una volta il Chierico tenta di scoraggiare l’idea del Druido: «Non possiamo dividerci, Galdor, sarebbe una follia! Inoltre non avreste supporto magico, se entrate nella città da soli, e non c’è alcuna garanzia che riusciate a disattivare la barriera senza essere scoperti e sconfitti dalle guardie!».
Anche Xanter e Kerwyn sostengono il discorso del Chierico, ma il Druido è irremovibile, e passa ad interrogare uno per uno gli interessati per convincerli ad entrare: Tamara e Wally si rifiutano categoricamente, non avendo alcuna intenzione di rischiare le loro vite a quel modo, e lo stesso vale per Joif, il quale non ha mai visto di buon occhio le azioni del compagno, specie dall’episodio con il Chuul. Veit tuttavia è molto combattuto all’idea di fare strage di Demoni, e l’audacia del piano di Galdor l’ha davvero colpito; è quasi sul punto di accettare, quando Kerwyn gli ricorda senza troppi giri di parole il motivo che ha spinto il fanatico Druido ad attaccare e massacrare quasi interamente il gruppo durante la caccia al Chuul, soltanto pochi giorni prima. Il Guerriero ricorda improvvisamente il triste episodio, e la rabbia torna ad impossessarsi di lui: non aveva mai perdonato il compagno per quello che era successo, né per i futili motivi che lo spinsero ad agire in quel modo, anche se gli ultimi episodi avevano del tutto eclissato la triste vicenda. Riesce tuttavia a controllarsi, e la sua unica reazione è il rifiuto di assecondare il suo piano.
Un’ira improvvisa solca il volto di Galdor, e all’improvviso si ode il rombo di un tuono, mentre urla con la voce della tempesta: «Sciocchi, deboli pazzi! Non avete il fegato di seguirmi in mezzo al pericolo e vi definite eroi?! Molto bene, vorrà dire che vi dimostrerò che posso benissimo farcela da solo, dopodiché dovrete ringraziarmi in ginocchio per avervi aperto la strada!».
Detto questo, si avvia furibondo verso la terrazza della torre, seguito a ruota dal gruppo che cerca inutilmente di dissuaderlo. Il Ladro al contrario non sembra darsi pensiero per ciò che sta per accadere, ed anzi schernisce il compagno, definendolo un “maniacale cacciatore di gloria”. Lo sguardo di fuoco di Galdor si fissa nei suoi occhi, ma nemmeno questo lo intimorisce minimamente; anzi, lo diverte.
Sulla cima della torre, il Druido dispiega rabbioso il tappeto, incurante dei tentativi di Dorian e di Xanter di farlo rinunciare; il principe preferisce lasciare a chiunque la possibilità di decidere come agire, quindi non una parola scaturisce dalle sue labbra con il fine di modificare la situazione; Veit e Joif si limitano ad assistere con espressione dura ma seria, desiderosi di vedere fin dove si sarebbe spinto l’avventuriero; solo Kerwyn sembra affrontare la faccenda con macabra ilarità, e lancia in direzione del gruppetto occhiate di sfida, riferendo con sporadici sguardi, ben più eloquenti di decine di parole, di non credere minimamente al coraggio del Druido. Questi, recepito il messaggio di sfiducia, con maggior convinzione inizia a recitare la formula incisa sul tappeto, il quale infine si solleva ad un metro dal suolo, pronto ad accogliere il proprio pilota; preparato il proprio veicolo, invoca nella sua lingua la protezione della natura, la quale prontamente gli risponde, garantendogli una quasi immunità agli effetti di qualsiasi fuoco o altra fonte di calore. Forte del potere della natura, Galdor è consapevole di poter attraversare senza rischi perfino un’ondata di lava bollente, perciò non è minimamente preoccupato da una semplice barriera lievemente fiammeggiante; inebriato dai suoi stessi poteri, prende dunque posto sul tappeto, scacciando per l’ultima volta le parole che miravano a fargli cambiare idea, e con un ultimo sguardo in direzione dei compagni, al contempo compiaciuto e sprezzante, spicca il volo e si lancia senza la minima esitazione verso il punto di non ritorno.
E poi accadde.
Nel preciso istante in cui il primo lembo del tappeto ha attraversato la barriera, un lampo di luce azzurrina si spande tutt’intorno, emanando un freddo glaciale che sferza i volti di tutti coloro che stavano osservando la scena: e la barriera d’improvviso aveva mutato il suo colore. Ora, agli occhi di tutti, appariva d’un colore a mezzo tra il bianco ed il celeste, il medesimo colore del ghiaccio, ed il fioco tepore che emanava minacciosamente cede il passo ad un gelo acuto, avvertito solo in parte dal gruppo, al sicuro sulla terrazza della torre. Per Galdor però era troppo tardi per fermarsi: otto paia di occhi sono puntati su di lui, mentre il suo corpo segue il tappeto al di là della barriera di ghiaccio, e al suo contatto le membra si rattrappiscono, il sangue rallenta fin quasi a fermarsi, la brina ricopre interamente ogni parte del corpo del Druido, il quale soffre un dolore spaventoso, mentre perde la sensibilità su gran parte del proprio corpo, rischiando di finire disarcionato; ma questi è un uomo molto forte, e non si lascia vincere con tale semplicità da una trappola del genere. Riesce a mantenere la calma e a ristabilirsi rapidamente grazie ai suoi limitati poteri curativi, e probabilmente avrebbe portato a termine la sua missione, se qualcun altro non fosse stato allarmato dall’attivazione della barriera: ecco che dal nulla tre mostruosi volatili demoniaci, dai più denominati Vrock, lo circondano alacremente, e dirigono i loro artigli nelle sue carni. L’attacco è risoluto e brutale, e non lascia scampo al Druido già debilitato, il quale precipita dal tappeto verso le fredde strade di Pago; incredibilmente però, la vita ancora non l’ha ancora abbandonato, e con un’inaspettata freddezza riesce a manovrare il tappeto fino a piazzarlo sotto di lui, salvandosi da un atroce destino. E tuttavia il pericolo non è ancora stato scongiurato, e gli si para davanti nelle spoglie dei tre Vrock, che nuovamente lo circondano, pronti ad un altro assalto; stavolta però Galdor è pronto, e manovrando abilmente il proprio veicolo si porta al sicuro dagli artigli dei nemici, volando in alto e stagliandosi nel cielo, quale oscuro presagio per gli avversari.
«Fatevi avanti, ignobili aberrazioni, affrontate l’ira della natura!» tuona Galdor dall’alto del suo tappeto, invocando nuovamente le antiche potenze, mentre i Demoni si lanciano contro di lui, le fauci spalancate e gli affilati artigli pronti a dilaniarlo: la sagoma del Druido viene avvolta da lucente energia del vivido colore delle foglie, che vortica attorno a lui per qualche istante prima di dissolversi: e il suo posto è stato occupato da un gigantesco orso ringhiante, dotato di artigli in grado di trapassare le più solide tra le corazze.
Una cruenta battaglia ha così inizio, alla quale hanno preso parte un membro del gruppo di avventurieri e tre Demoni alati di Pago: i colpi inferti sono estremamente duri, sia dall’una che dall’altra parte, ma l’orgoglioso Druido è solo, e nulla possono fare i suoi compagni per aiutarlo. Xanter tenta di scagliare una freccia in direzione di un nemico, con lo scopo di attirarlo su di sé e facilitare la battaglia all’amico, ma il colpo si infrange sulla barriera, che ne preclude l’accesso e ne scongiura gli effetti. Galdor tuttavia non si accorge del tentativo dei suoi amici di aiutarlo, e in cuor suo la convinzione di essere stato abbandonato si radica e cresce ogni istante che passa; la battaglia va avanti ancora per qualche minuto, mentre l’orso sul suo tappeto si difende strenuamente dalle continue incursioni dei suoi nemici alati, in enorme vantaggio sia numerico che strategico su di lui. Evitando un colpo d’ala che tentava di sorprenderlo alle spalle, Galdor affonda i suoi possenti artigli nelle membrane del Vrock, strappandogli le ali e precipitandolo al suolo; ma la vittoria su un nemico ha valore irrilevante in quel momento, ché le ferite sul corpo del Druido sono numerose e profonde, e il sangue ne sgorga copiosamente, annebbiandogli la vista e rallentandogli i riflessi. I due Demoni rimasti si lanciano dunque in un assalto su due fronti, chiudendo il loro avversario in una morsa d’acciaio e tempestandolo di colpi d’ogni sorta; quella che copriva il suo corpo non era semplice pelliccia d’orso, bensì un carapace incredibilmente duro e leggero, ma nulla poté contro i furiosi attacchi che gli vennero portati contro e, alla fine, Galdor crollò.
Mentre riprendeva le sembianze consuete, le gambe non lo ressero più, ed il suo corpo cadde per la seconda volta verso la dura terra maledetta; ma mentre cadeva, il Druido sentiva la collera pervaderlo e, nonostante la distanza, fu certo che Kerwyn dalla terrazza della torre lo stava deridendo; invero si sbagliava, ché Kerwyn non l’aveva mai amato come compagno, ma nemmeno avrebbe gioito della sua morte, soprattutto in un momento così duro. Ma mai questi pensieri si aggirarono nella mente di Galdor, ritenendo egli che Kerwyn fosse della stessa schiatta di quei Demoni che si erano presi la sua vita: e lo odiò con tutto se stesso. La sua caduta rallentò fin quasi ad arrestarsi, mentre con il suo ultimo alito di vita pronunciava parole cariche di rabbia furiosa e di risentimento soffocante, il cui potere veniva amplificato e plasmato dalla sua anima tormentata.
«Che tu sia maledetto per sempre, Kerwyn Eagleye! Possa la tua vita futura essere ricca di piaghe e sofferenze, così come lo è stata la mia! Giuro sulla mia anima che il mio odio per te non si estinguerà mai, e dovesse costarmi tutto ciò che mi resta, ti auguro una fine tanto miserabile quanto irrevocabile, Kerwyn Eagleye!!».
Queste furono le terribili parole che pronunciò prima di dipartirsi per sempre dal mondo, o almeno quelle che supponeva aver detto. Giacché in quel momento dalle sue labbra uscirono vocaboli che grondavano malvagità, in una lingua talmente abietta e mostruosa che perfino i Demoni non osavano pronunciarla, se non in sporadiche occasioni e con ottimi motivi.
E in quel momento Galdor il Druido non esisté più. Il suo corpo fu bruciato da un fuoco più nero dell’oblio eterno, e la sua anima venne mutilata di ogni sua parte, e fatta definitivamente a brandelli da falci invisibili di creature tanto potenti quanto immonde, ed ogni suo frammento patì da quel momento un dolore incommensurabile ed eterno; persino il suo ricordo fu spazzato via dalle menti di chiunque l’avesse mai conosciuto, e nessuna traccia rimase nel mondo di lui, né tangibile né trascendente, ché la fosca maledizione da lui lanciata aveva esatto il proprio tributo. Fu in quel momento che un tetro lampo silenzioso calò dal cielo, oscurando tutto ciò che aveva intorno a guisa d'un telo che venga calato su di una candela; e quivi s’infranse su Kerwyn, il quale venne sollevato dal terreno mentre nocive energie lo penetravano con forza devastante, avvizzendone il corpo e la mente, disgregandone la giovinezza e condannandolo anzitempo ad un destino di sofferenza quale Galdor l’aveva invocato per lui.
Sulla terrazza della torre, a poca distanza dalle mura della città di Pago di Val Torkmannorack, cinque avventurieri, un principe e due prigioniere si riscuotono da un’innaturale sensazione, come se un sonno improvviso li avesse colti e poi abbandonati, permettendo loro di ridestarsi; ma presto i ricordi riaffiorano alle loro menti, e l’immagine di ciò che è successo pochi attimi fa si imprime a fuoco nelle loro memorie. E tutti rivedono col pensiero la sagoma di un essere umano che sale su un tappeto ed attraversa la barriera, per poi essere sconfitto da una pattuglia di Demoni che lo scorge in lontananza; e non uno di loro evita di rabbrividire, ripensando alle tenebrose parole da questi pronunciate prima della fine, ed al fosco lampo terribile, calato come sentenza su Kerwyn. Questi ora si sente vecchio e stanco, sebbene il suo aspetto fisico sia quello di sempre, e a nulla valgono i vani sforzi di Dorian e di Inejhas di cancellare, o quantomeno di alleviare, il suo dolore; a riprova di ciò che era il suo destino, ora un singolare insetto ronza intorno al Ladro, dal nero colore e dalle ali coperte di artigli, quasi un Demone in miniatura, eppure ancora più malvagio. E niente poteva scacciarlo o allontanarlo, ché per quanto si provasse, questi tornava nuovamente a girare attorno alla sua vittima, senza concedergli un istante di tregua.
Xanter e Veit corrono a sorreggere il loro compagno, il quale respira faticosamente e si sente la febbre alta.
«Cosa gli è accaduto?» domanda preoccupato l’Elfo, mettendo a sedere in terra il Ladro. Sui volti di Inejhas e di Dorian si delinea un’espressione di dolorosa impotenza, ma nessuno dei due accenna una spiegazione. Lo sguardo di Xanter è tuttavia tagliente quanto le sue lame, sicché il Chierico gli risponde: «Qualcuno la cui caparbietà non conosce confine ha scagliato un potente anatema sul nostro compagno, detto da molti “Maledizione delle Mille Lacrime”. In cambio della propria anima e di eterna dannazione, una maledizione di ineguagliabile potere affligge il bersaglio; tuttavia non c’è alcuna speranza di redenzione per colui che ha pronunciato le fatidiche parole, e il dolore che patirà alla lunga lo farà pentire mille volte di un tale gesto, e in preda al delirio finirà per maledire se stesso ed il resto del mondo. Mi chiedo come possa esistere un essere vivente capace di una simile decisione».
«Ciò che dici è terribile, Dorian» commenta addolorato Xanter, «non c’è niente che tu possa fare per lui?». Ma a malincuore il Chierico spiega che le sue attuali capacità non sono neanche lontanamente sufficienti a combattere un potere tanto grande e malvagio. Cala dunque un silenzio pesante che riempie i cuori di tutti i presenti d’angoscia.
D’improvviso però una luce si accende sul volto del giovane sacerdote, il quale torna a sorridere speranzoso.
«Forse qualcosa che possiamo fare c’è» dice con voce insieme rinfrancata e grave, «ma dovremo metterci in viaggio per il nord, e non ci sono garanzie di successo. Potrebbe rivelarsi un completo fallimento».
«Non importa» risuona la voce di Veit, con l’impeto di sempre, «Kerwyn è nostro compagno, e se c’è anche una sola speranza vale la pena fare tutto ciò che è in nostro potere per farla avverare!».
«Molto bene, allora. Preparatevi a partire, stiamo per tornare a Norbat, dove chiederemo aiuto al mio maestro, l’arcidiacono del clero di Kord, il maestro Kergorbart! Se c’è una persona che può aiutarci, è proprio lui».
Tutti si mostrano concordi con l’idea di Dorian, e il gruppo si mette subito in cammino, per raggiungere Norbat il più presto possibile; man mano che si allontanano dalle terre infestate di Pago, le forze di Kerwyn sembrano in parte rinvigorirsi, fino a permettergli di camminare con le proprie gambe, come decide espressamente di fare.
All’improvviso, a causa di una situazione totalmente imprevedibile, il gruppo aveva cambiato itinerario e destinazione, dirigendosi verso la città natale di Veit, la stessa in cui Dorian era stato investito dei poteri e delle responsabilità dei Chierici di Kord. Ora il bisogno li spingeva nuovamente nella città che era stata la loro patria per molti anni, ma non era concesso loro di gioire prima del tempo: chissà cosa sarebbe accaduto, qualora si fossero trovati al cospetto dell’arcidiacono Kergorbart...


Fine della Terza Parte



Nota per i lettori: Per coloro che non l'avessero intuito, la Maledizione delle Mille Lacrime è in realtà una Maledizione in punto di morte, (trattata nel Libro delle Fosche Tenebre) da me rinominata in questo modo per non rovinare il pathos della narrazione. Verrà d'ora in avanti denominata così in tutto il Diario.

Nota II - La vendetta: Vorrei scusarmi per i bruschi passaggi dalla narrazione al presente a quella al passato e viceversa, ma non ho trovato altro modo di rendere la drammaticità delle cose. Spero non sia di troppo disturbo alla lettura.

Ecco fatto! Alla prossima :ok: !

Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:11
 
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Ed ora un altro break narrativo tra un ghiottone ed un pollo volante :D

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Intermezzo 2 - Un'altra Sessione di tutto Riposo

Personaggi:
Galdor - Umano Druido ( NOCTIFERO89 )
Kerwyn - Umano Ladro ( Jeff Walker )
Dorian - Umano Chierico ( Ramiant )
Joif - Umano Bardo ( Axmal )
Veit - Umano Guerriero ( ::Veit:: )
DM - Dungeon Master ( Eldrad )


??? - Sapete? Ancora non sono sicuro che sia una buona idea...
Galdor - Zitto Kerwyn! Quando la foresta ha bisogno di me, non mi tiro indietro.
Kerwyn - E io perché devo seguirti per forza?
Dorian - E dai, siamo un gruppo no? E poi pensa alla ricompensa...
Joif - Qualcuno mi spiegherebbe perché siamo qui? Io non ho capito ancora niente.
Galdor - Allora, c’è un mostro nella foresta (che dalla descrizione sembra un Chuul), che sta uccidendo e disboscando, quindi è nostro preciso dovere fermarlo in un modo o nell’altro!
Kerwyn & Joif - Nostro?

...



DM - Mentre camminate compare davanti a voi una contadina che trasporta sulle spalle un fascio di biada.
Joif - (Con fare galante) Salve gentile donzella! Perché una bella ragazza come te è costretta a simili fatiche sotto il sole cocente?
Veit - Giusto! Una come te dovrebbe restare a casa con il marito.
DM - Io non ho detto che è bella...
Joif - Chissenefrega! È una figa!
Veit - Quoto!
Tutti - ...
Dorian - Questa tipa non mi convince... DM, provo a vedere se è sudata.
Donzella - Cosa guardi, mascalzone!
Tira uno schiaffo a Dorian
Dorian - Ahi! Ma se hai lavorato sotto il sole, perché non sei sudata?
La contadina inizia a cambiare forma
DM - Vedete la donna trasformarsi in uno Gnomo armato di pugnale.
Dorian - Aha! Lo sapevo!
Veit - Si trasforma eh? Allora sfodero lo Spadone e lo carico!
DM - ...
Kerwyn - Ehm... Veit, poi l’hai preso Estrazione Rapida, vero?
Veit - ... ... PORCA PUT****!!!
Joif - Credo fosse un no...
DM - Dunque estrai e ti avvicini, vero? Joif, tocca a te.
Joif - (Sdraiandosi sul divano) Io canto, svegliatemi a fine combattimento.
Tutti - ...
DM - Galdor, che fai?
Galdor - (Con fare pomposo) Questo subdolo essere assaggerà la potenza della natura! I miei amici animali dimostreranno ora la...
DM - Sì ok, come dici tu. Dunque, ora tocca a Kerw...
Kerwyn - ATTACCOFURTIVOATTACCOFURTIVOATTACCOFURTIVO!!!
DM - Ehm sì... E ora tocca a Ve...
Veit - ATTACCOPODEROSOATTACCOPODEROSOATTACCOPODEROSO!!!
DM - Ok, ho capito! Ora tocca a Joif...
Dorian - Ehi, ma a me non tocca mai?
Veit - Ma tu sull’iniziativa non tiri mai più di 4, che ti aspetti?
DM - Che fai, Dorian?
Dorian - Ci sono feriti?
DM - No.
Dorian - Allora ritardo.
Tutti - ...
DM - Ok, tocca allo Gnomo, che dà una pugnalata a Dorian, ma lo manca.
Dorian - CA 33 Rulez!
Kerwyn - PRRRT!!!
DM - Quoto. Galdor, tocca a... Galdor? Dov’è finito?!
Galdor - (Rientrando con una busta di patatine) Eccomi. Che succede, tocca a me?
DM - No, tu passi!
Galdor - Ma perché?
Dorian - Chiedilo alla natura.
DM - I colpi di Kerwyn e Veit sembrano aver scosso lo Gnomo, che indietreggia barcollando.
Dorian - Vuol dire che gli restano meno della metà dei PF, quindi se gli sparo un Ferire dovrei abbatterlo!
DM - Meno...
Dorian - Ma perché?
Kerwyn - Metagamer di merda...
DM - Comunque non si limita a indietreggiare, ma mormora qualche parola e scompare sotto i vostri occhi.
Kerwyn - Maledetti Assassini!
Galdor - Che ne sai che era un Assassino?
Kerwyn - Forse perché lancia incantesimi? Oppure perché non potevamo attaccarlo sui fianchi? E poi non dimenticare che 4 anni fa ho giocato un Ladro 12/Assassino 7 nella campagna di Felice, che vantava il record di uccisioni più alto delle ultime sei camp...
DM - Ehm ehm... qualcuno ha intenzione di fare qualcosa o posso farvi morire di vecchiaia mentre vegetate qui?
Dorian - Io lancio Individuazione del Mal... Cazzo, non l’ho caricato!
Veit - Ma come, ci stiamo avventurando in una foresta maledetta e non ti carichi Individuazione del Male?!
Dorian - Prima di tutto la foresta maledetta è a Pago, non qui, poi Rob ha detto che ci mettevo troppo a scegliere gli incantesimi e mi ha tolto il manuale!
Galdor - Cosa d’altronde vera...
DM - Quoto. C’è altro che volete fare?
Veit - Se ancora non ci ha attaccato penso sia fuggito. Andiamo a massacrare questo Chuul prima che mi rompa le palle.
Galdor - Già, è meglio. Qualcuno svegli Joif.
DM - Improvvisamente lo Gnomo ricompare alle spalle di Dorian, gli salta sulla schiena e gli punta il coltello alla gola.
Dorian - Fammi indovinare... Attacco Mortale, giusto?
DM - Che ne dici di farmi un bel TS su Tempra?
Dorian - Uffa, ma perché sempre a me? Dillo che ci provi gusto...
DM - Quoto!
Dorian - Piantala! Non fai altro che quotare!
DM - Disquoto! Allora, vuoi tirare o no?
Dado - Rotfl (1)!
Dorian - E no, cazzo! Non posso morire così! Uso il potere del dominio della Fortuna e ripeto il tiro!
Dado - Rotfl (2)!
Dorian - ... ... ...
Veit - ...Non ho parole...
Galdor - Lo hai chiamato “Dominio della Fortuna”?
Kerwyn - Il Chiercio è andato... avanti il prossimo!
Dorian - ... ... ...
Veit - Tocca a me vero? Stavolta lo carico.
DM - Manchi...
Galdor - Gli sferro un colpo di scimitarra!
DM - Manchi...
Joif - Io riprendo a cantare.
DM - Man... cioè... ok.
Kerwyn - Critico!
DM - Manchi...
Kerwyn - Con 20?
DM - Ah... allora prendi.
Dadi - Rotfl!
DM - Ok è morto, ma mi preoccupa Dorian...
Dorian - ... ... ...
Veit - Non si muove...
Joif - Almeno respira?
Galdor - Dorian, guarda che posso resuscitarti.
Dorian - ... ...davvero?
Kerwyn - Accidenti, è ancora vivo...
Galdor - Sì, posso usare Reincarnazione, ma potresti resuscitare sotto un’altra forma, dipende tutto dal d%.
DM - Allora usi Reincarnazione?
Galdor - Sì.
DM - Ok, chi tira il d%?
Dorian - Tiro io. Ho appena tirato un 1 e un 2, non può andar male anche questo, no?
Dado - Rotfl (84)!
Dorian - Allora, cosa ho tirato?
DM - Dunque, vediamo... 76-83 Orco... 85-96 Umano... 84... ah ecco! Ora sei un Troglodita!
Dorian - ... ... ...
Joif - Che bravo, il nostro Chierico della Fortuna...
Veit - Ehm... che dite, andiamo?
Galdor - Meglio di sì...
Dorian - ... ... ...
Kerwyn - (Cantando) Mi sono reincarnato in un Umano, che non perde mai partita! Invece il Chierico Chierico Troglodita, con una tendenza sodomitaaa!!

Continua...



Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:11
 
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Sto ridendo come un imbecille dall'inizio del post xDDD





























...CON UNA TENDENZA SODOMITAAA!
SPOILER (click to view)
Il Cap. XV l'ho letto ben 3 volte, lo conosco come se avessi masterizzato io :shifty:
 
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Mi ritrovo a dover quotare il mio dado:
CITAZIONE (Ramiant (o il suo dado?!) @ 16/3/2009, 16:50)
Dado - Rotfl!

Comunque ha ora inizio la Quarta parte, Capitolo 16 - Udienza nel tempio di Norbat! Enjoy this too!

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 16 - Udienza nel tempio di Norbat
E
rano ormai trascorsi diversi mesi da quando la fiorente città di Pago di Val Torkmannorack era stata rasa al suolo ed occupata da creature il cui unico obiettivo era arrecare dolori e sofferenze senza alcuna forma di pietà: i Demoni. Al loro fianco si erano schierate le deboli creature simili a Nani conosciute col nome di Derro, e per le strade di quella che un tempo era una vasta capitale del regno Nanico ora marcivano putridi cadaveri accatastati, e i calcinacci e le rovine di vecchie abitazioni crollate affollavano la nuda terra macchiata di sangue. E tuttavia un gruppo di audaci avventurieri ha osato sfidare l’intero esercito, compiendo innumerevoli atti di valore e di coraggio, ed arrecando gravi danni ai nemici ivi occultati.
Il male che hanno sfidato li ha ripetutamente messi alla prova, ma inutilmente ha tentato di piegarli, essendo tutti uomini dallo spirito forte. Questo giorno però, un duro colpo è stato inferto loro, il cui male trascende qualsiasi precedente creatura o azione che si erano trovati a fronteggiare: il Druido Galdor, spinto dalla sua missione ed influenzato dall’aura di follia della città, ha rinnegato qualsiasi legame d’amicizia con il gruppo che accompagnava, maledicendo con le sue ultime forze il compagno Kerwyn Eagleye. Ora i suoi compagni, per tentare di rimediare a ciò che è stato, si sono messi in viaggio per la città di Norbat, patria di Brottor Veit e sede del tempio in cui la fede ha iniziato ad albergare nel cuore di Dorian Wraiten: forse il suo maestro avrebbe trovato un modo per liberare Kerwyn dall’agonia in cui era immeritatamente precipitato.
Il viaggio del gruppo verso Norbat procede inaspettatamente tranquillo, eppure la tensione è tangibile: il silenzio è quasi opprimente, ma nessuno ha voglia di romperlo, quasi ne fossero tutti intimoriti. Insieme ai sei compagni, anche le prigioniere della dottoressa Virago, Tamara e Wally, stanno affrontando il viaggio, non avendo il cuore abbastanza saldo da avventurarsi da sole per quei terreni pregni di male; Kerwyn però, strada facendo, si sente sempre più rinvigorito, forse grazie alla lontananza dalla terra corrotta, al punto da riuscire a camminare da solo, nonostante ancora fatichi a respirare e la sua vista sia pur sempre annebbiata. La tensione così si allenta, avendo constatato che l’abile Ladro non è in pericolo di vita, ed improvvisamente la lunga traversata sembra molto più leggera. Quando cala la sera, gli otto viandanti si fermano per riposare, accampandosi attorno ad un fuoco dove consumano i loro pasti, rinfrancati dal fatto che la vita di Kerwyn non sia ancora alla portata dell’eterno oblio; quella sera Joif si esibisce recitando una delle opere da lui stesso composte: la sua candida voce richiama nelle menti di coloro che la odono scene di eroici scontri dei tempi andati, allorché gli eserciti della Grande Alleanza scesero in guerra contro le immense armate del Mondo Sotterraneo, e grandi condottieri si ornavano di gloria immortale compiendo gesta che verranno ricordate nei tempi a venire per tutta l’eternità; i cuori dei giovani eroi vengono rapiti dalla melodia, e le loro menti si dipartono dalla realtà, per osservare gli eventi narrati dall’alto di una barriera intangibile, labile specchio che separa il bello dal vero. Quella notte è trascorsa all’insegna della pace interiore, ed i sogni sono stati coronati di spade, stendardi e squilli vittoriosi di trombe, le stesse trombe che quasi mille anni fa risuonavano incontrastate per centinaia di miglia.
La mattina infine giunge, e nel cielo immacolato si staglia il dorato disco incandescente, che ridesta i dormienti e mette in fuga le creature delle tenebre; al risveglio tutti si sentono freschi e riposati, e lo stesso Kerwyn percepisce gli effetti della maledizione molto attenuati; ciononostante Dorian lo ammonisce, spiegandogli che la sensazione di benessere che prova è solo temporanea, e presto l’agonia tornerà a tormentarlo, come il giorno prima. Si ritira dunque in disparte, dove recita in ginocchio le preghiere della mattina, ed implora Kord di concedergli il potere necessario ad affrontare la giornata; terminate le orazioni, e raccolto tutto il necessario, il Chierico riferisce al gruppo che per rendere il viaggio più rapido e sicuro utilizzerà uno dei suoi incantesimi. Prima che possa procedere, tuttavia, Tamara lo interrompe, ed annuncia al resto di loro di voler proseguire per la propria strada;Wally invece preferisce seguirli fino a Norbat, quindi la Ninfa si congeda dai suoi salvatori, diretta verso l’ignoto, mentre da lontano gli avventurieri, chi con dispiacere, chi con sollievo, la guardano andare via. A questo punto Dorian può ultimare i preparativi per il viaggio, e recitando le formule magiche, accompagnate dai consueti gesti a formare nell’aria un glifo di vento di sesto stadio, lancia l’incantesimo Camminare nel Vento, quindi procede trasmettendo il potere a tutti i compagni con un tocco delle sue mani: quando viene sfiorata dal tocco del Chierico, la pelle inizia a disgregarsi, come in procinto di sciogliersi, e man mano perde il suo colorito, assumendo la densità e le sembianze di foschia. La sensazione è piuttosto insolita, ma non spiacevole, ed una volta che tutti si sono abituati ed hanno acquistato la padronanza dei movimenti, il Chierico recita un’altra preghiera, supplicando l’intervento di un vento divino che li trascini in vista del loro obiettivo: la sua richiesta viene accolta, e subito una brezza d’aria eterea li avvolge e li sospinge, permettendo loro di volare ad alta velocità sotto forma di nebbia. L’idea si rivela invero molto efficace, e dopo poche ore di semplice traversata ecco che agli occhi dei sette viaggiatori si delineano i confini di una cinta muraria molto famosa: davanti ai loro occhi era finalmente comparsa Norbat.
Atterrati su una delle tante strade, gli avventurieri si guardano intorno stupiti, non ricordando l’ultima volta che avevano messo piede in una città di tale bellezza; gli occhi di Veit si illuminano, mentre ogni cosa che guarda gli riporta alla mente ricordi della sua giovinezza, quando giocava con sua sorella per le strade brandendo una spada di legno. Anche Dorian è assalito dai ricordi, e la sua mente si smarrisce ripensando a tutti gli esercizi che ogni giorno portava a termine in vista di diventare finalmente un vero Chierico di Kord; ma l’importanza della loro missione, ed il motivo che li ha spinti fin là piomba come un macigno, infrangendo i loro sogni di un passato ormai irraggiungibile, ed entrambi si riscuotono, facendo strada ai compagni verso il tempio della città.
La camminata è molto apprezzata dopo l’insolito viaggio, e nessuno se ne lamenta; arrivati alle porte dell’edificio, Dorian comunica agli altri di voler entrare da solo, per poter prima di tutto parlare con il suo maestro; in un secondo momento avrebbe accompagnato dentro anche Kerwyn e gli altri. I suoi amici acconsentono, ed il Chierico varca l’ampio portone che lo introduce nell’edifico che più di tutti i posti al mondo ha amato come una casa; guardandosi intorno, nota che nulla è cambiato, e riconosce anche alcuni sacerdoti che un tempo lo istruivano. Si avvicina ad un altare, da cui si slancia una statuina del dio della Forza che brandisce il temuto Kelmar, e vi si inginocchia innanzi per pregare, come amava fare in passato; nel frattempo, un anziano con volto segnato ma sguardo penetrante gli si fa accanto, e gli domanda quali fossero i motivi che lo hanno spinto lì.
«Sono qui per vedere l’arcidiacono, è molto importante» è la risposta che sceglie Dorian, alzandosi in piedi.
«L’arcidiacono...» commenta il vecchio, soppesando le parole, «e posso sapere il vostro nome, messere?».
Al che il Chierico si erge, e con voce fiera, tipica del clero a cui appartiene, risponde: «Il mio nome è Dorian Wraiten, figlio di Arthur Wraiten, e queste mura sono a lungo state la mia casa; ivi ho ricevuto l’addestramento e ho studiato e meditato a lungo, fino a diventare orgogliosamente un Chierico del possente Kord!».
Al sentire queste parole, un sorriso s’affaccia sul solcato volto del vecchio, il quale scompare inghiottito da una nube di denso fumo grigiastro, che lo avvolge con un rumore simile allo scoppio di un petardo. Quando il fumo si dissolve, al suo posto si erge un Umano alto e fiero, dalla lunga chioma bionda ed il fisico scultoreo; le sontuose vesti clericali che ne adornano il corpo nascondono una possente armatura da battaglia, mentre sulle sue spalle si erge maestoso uno scintillante Spadone, dalla cui elsa spicca il più grande simbolo di forza conosciuto.
«Ti saluto, giovane Dorian. Cosa posso fare per te?» eloquisce il maestro Kergorbart, accogliendo il suo allievo d’un tempo. Questi, al cospetto dell’arcidiacono, si prostra in un inchino profondo, poi gli risponde: «È bello rivederla, maestro Kergorbart».
Quando si rialza, i due si stringono in un caloroso abbraccio, come padre e figlio che non si rivedono da molto tempo; l’arcidiacono sembra molto lieto della visita di Dorian, ed anche questi è molto felice di rivedere l’uomo che dopo la sua fuga è stato come un padre per lui. Ma ancora una volta il senso del dovere prevale, ed è lo stesso Kergorbart, tornato serio in volto, ad interrompere quel gioioso momento, commentando: «Ma ora, Dorian, passiamo al motivo della tua visita: avevi detto che si trattava di una cosa molto importante, e sebbene il mio cuore voglia pensare che la tua sia una semplice visita al tuo vecchio maestro, il mio animo sa bene che è successo qualcosa. Per cui dimmi, cosa devo sapere?».
«Lei ha perfettamente ragione, maestro» è la sconsolata risposta del giovane Chierico, «e mi duole terribilmente che questa non sia una semplice visita, ma una disperata richiesta d’ausilio: molte sono le cose di cui devo parlarle, e troppo poco il tempo che mi è concesso per farlo. Eventi nefasti hanno luogo in questo preciso momento non lungi da qui...», quindi narra con brevi ma esaurienti parole la vicenda che ha avuto luogo dentro e fuori le mura di Pago di Val Torkmannorack, fino alla spaventosa maledizione scagliata contro Kerwyn da un individuo il cui ricordo era stato estirpato dalle menti di chiunque lo avesse incontrato. Ma Kergorbart sembra non fare caso ai dettagli della maledizione, mentre un’espressione stupita e sconvolta gli deforma il viso rendendolo irriconoscibile.
«Maestro, si sente bene?» domanda Dorian, con leggera apprensione. Ed ancora una volta il suo maestro non recepisce alcuna parola; le sue labbra però farfugliano, tremolanti: «Tu... tu... hai detto che i Demoni hanno invaso e distrutto Pago già da qualche mese?».
«Io... sì, è ciò che ho detto» gli risponde, quasi basito.
«Noi però...» continua balbettante l’arcidiacono, ed intanto si gira a guardare una carovana di Nani che stanno scaricando delle casse nell’atrio del tempio, «noi... non abbiamo mai smesso di ricevere rifornimenti da Pago!».
Le parole colpiscono Dorian con la forza d’un maglio, e si sente d’improvviso mancare il respiro. “Tamara aveva ragione. Spia o no, Tamara aveva ragione!” pensa il Chierico, mentre le sue mani si serrano sull’elsa dello Spadone agganciato alle sue spalle, e la sua fidata lama vede nuovamente la luce nel tempio in onore del quale è stata sempre brandita.
«Sono impostori! Non lasciateli scappare! Quei Nani sono degli impostori!» grida mentre si lancia alla carica del convoglio di spie, rapito da un sentimento mai provato prima, un miscuglio tra paura, ansia e rabbia. I funzionari del tempio restano immobili, sconvolti dall’insolito comportamento del forestiero, che ha osato sguainare una spada sul sacro suolo di un tempio e brandirla contro altre creature; ma poi anche Kergorbart si lancia al suo seguito, e i più determinati tra loro si convincono della veridicità delle parole pocanzi urlate, e sguainano le armi. I Nani indietreggiano colti da timore, intimando loro di riporre le armi, ma non ottenendo nessun risultato calano infine la maschera: le loro sembianze si dissolvono, i loro corpi si sciolgono come neve al sole, e tutto ciò che ne resta sono delle creature tanto minute quanto infide: Derro. Uno di loro, avvolto da una tunica che gli conferisce importanza, dà inizio ad una sorta di rituale, mentre tutti gli altri, armati di corte lame ricurve, lo circondano facendogli da scudo con i propri corpi; due delle guardie del tempio che erano loro innanzi colpiscono, ed altrettanti nemici cadono, il loro sangue, del medesimo colore cupo della tenebra, schizzando sulle candide colonne di marmo intarsiato, insozzando la vergine bellezza del tempio forse per sempre. Il resto del gruppo tuttavia non osa muoversi, né disertare il proprio compito di difesa del rituale: e nel giro di una manciata di secondi, nell’attimo in cui Dorian raggiunge le guardie, l’incantatore libera il potere finora accumulato. Dorian scaglia a mo’ di giavellotto la sua lama, come estremo e disperato tentativo di arrestare la fuga dei nemici, ma tutto è a vuoto, ché il possente metallo della spada impatta col duro e freddo marmo del pavimento, essendo i bersagli già fuggiti a mezzo di teletrasporto.
«Come hanno fatto a teletrasportarsi oltre queste mura?!» impreca il Chierico, raccogliendo l’arma, «Come hanno eluso le difese di un luogo cotale?!».
«Non le hanno eluse, amico mio... le hanno abbattute».
Dorian allora lancia un’Individuazione del Magico, e scopre quello che il suo maestro già sa: tutto ciò che resta dei complicati incantesimi eretti a protezione del tempio sono stati demoliti, spazzati via da un diabolico piano che ne prevedeva la scomparsa; tutto ciò che ne resta è un flebile alone, un’eco lontana della maestosa potenza magica che difendeva queste mura, oramai inermi.
«Tutti gli incantesimi di protezione... persino la Proibizione... in nome degli dei, come hanno potuto fare una cosa del genere?! Certo i Derro da soli non ne sarebbero capaci, le loro potenzialità non sono tanto vaste da concepire simili piani. Già mi meraviglia che siano riusciti ad ingannarci a quel modo...».
«Come le ho detto infatti, i Derro non agiscono da soli, sono solo il braccio dell’intero sistema, e per di più un braccio che, anche se amputato, continua a ricrescere a ritmi frenetici. No, dietro tutto ciò v’è qualcosa di molto più sottile e pericoloso: le creature dell’oscuro Abisso, e preparano un’invasione massiccia e totale».
Le rivelazioni di Dorian lasciano le guardie a bocca spalancata, mentre l’arcidiacono resta immobile, immerso nei propri pensieri, meditando sul da farsi. In quel mentre, irrompono nel tempio anche i compagni del Chierico, allarmati dalle urla del compagno e dai rumori provenienti dall’interno; le guardie, già scosse dalla battaglia e dalle rivelazioni or ora ascoltate, accolgono il gruppo armi in pugno, ritenendoli nuove minacce. Dorian però riesce a fermarli in tempo, evitando lo scoppio d’una battaglia tanto indesiderata quanto dannosa, sia per le loro forze, sia per la reputazione del tempio, già ampiamente provata al seguito dell’intrusione di nemici con tale semplicità. Kergorbart non sembra essersi dato pensiero per l’arrivo di tanti forestieri, ma alla fine si pronuncia: «Eppure i rifornimenti che ricevevamo non sono mai apparsi velenosi o altrimenti nocivi per noi, come mai?».
«Non sarebbe stata una mossa furba da parte loro avvelenare i rifornimenti» medita il Chierico, con espressione grave in volto. «Se anche le perdite causatevi fossero state molto elevate, avrebbero mandato in fumo la segretezza dei loro intenti: di sicuro dal tempio sarebbero partiti esploratori, diretti a Pago per controllare il motivo dell’avvelenamento delle merci, ed a quel punto tutti avrebbero saputo cosa stava accadendo. I Demoni non sono ancora pronti, stanno portando a termine una sorta di rituale oscuro, ma ancora non sappiamo di quale entità».
Ancora un minuto di silenzio, poi Kergorbart conclude: «Le tue parole hanno senso, giovane Dorian, e noi agiremo di conseguenza». Poi nota per la prima volta gli avventurieri che affollano l’atrio del tempio, e domanda: «Codesti sono i tuoi compagni di ventura? A guardarli appaiono come uomini il cui fuoco interiore è restio ad estinguersi».
«È così, maestro, ma uno di loro necessita del suo grande potere» gli spiega Dorian.
«Dimmi pure, farò ciò che è nelle mie capacità per lui».
Al che il Chierico fa avanzare Kerwyn fino al cospetto di Kergorbart, quindi a quest’ultimo si rivolge: «Questi è Kerwyn Eagleye, maestro di ogni sotterfugio ed artista della sottigliezza; le sue straordinarie abilità ci hanno salvato la vita non una sola volta, e tutti gli siamo molto legati. Ma adesso è vittima di atroci sofferenze, dacché una spaventosa maledizione lo sta lentamente consumando...».


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:12
 
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Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

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Scusate il ritardo, ma prima di postare aspettavo una lettera (che d'altronde ancora non è arrivata <_< ); comunque eccoci qui, enjoy!

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 17 - Miracolo!
«V
ediamo se ho capito...» tenta di ricapitolare Kergorbart, «mi stai dicendo che da Pago di Val Torkmannorack avete affrontato un viaggio così lungo perché uno dei tuoi compagni è vittima di una semplice maledizione?».
«A dire il vero, non si tratta di una “semplice maled...”» tenta di spiegare Veit, ma l’arcidiacono riprende, come se nessuno stesse parlando: «Mi deludi, Dorian, non pensavo che un così semplice ostacolo bastasse a fermarti. Forse ho sopravvalutato le tue capacità», e senza prestare orecchio ad alcuna spiegazione, mormora alcune formule magiche e sfiora la fronte di Kerwyn con le palme illuminate: la magia scorre all’interno del corpo, ed una fiammata lucente sprigiona dalle membra del Ladro, ma al suo dissolversi nulla è cambiato, ed il dolore non è minimamente mutato.
«Nessun effetto?» commenta il Capochierico stupefatto, «Ciò è impossibile! A meno che...».
«È proprio quello che cercavamo di spiegarle» interviene Dorian, «quella che ha colpito il nostro amico non è una semplice maledizione, alle quali talvolta anche noi facciamo ricorso. Quella che ha colpito Kerwyn è... è...».
«È una “Maledizione delle Mille Lacrime”» conclude per lui il principe Inejhas. A quelle parole, nella sala scende un duro silenzio, e gli occhi di tutti i presenti sono puntati nella loro direzione, colmi di stupore e di paura.
«La “Maledizione delle Mille Lacrime”... un anatema la cui malvagità supera di gran lunga quella di qualsiasi creatura mortale. Eppure è stato proprio un mortale a servirsene, pur di colpirvi. Se le cose stanno così, c’è solo una cosa che possiamo fare», quindi Kergorbart si allontana, imboccando un corridoio laterale che lo introduce nei meandri del tempio. Pochi minuti dopo, durante i quali nessuno ha osato rompere il silenzio, eccolo riemergere, portando con sé un cilindro di rara bellezza, i cui delicati intarsi risplendono alla luce delle candele. Giunto dinanzi al gruppo, si rivolge al Ladro con voce tonante: «Kerwyn Eagleye, se un tale potere ha ghermito la tua essenza e di essa intende cibarsi, solo l’ineluttabile volere di una divinità può salvarti! Hai tu ora la possibilità d’invocare il miracolo di Kord, e sperare che questi si dimostri magnanimo nei tuoi confronti!».
Le parole appena pronunciate scatenano lo stupore generale, e perfino i cuori degli avventurieri vengono scossi all’udirle. L’arcidiacono però riprende il discorso, e stavolta la sua voce è più bassa e meno solenne: «Ciò tuttavia ha un prezzo. Tu non sei un seguace di Kord, e questi ti concederà un grosso favore qualora decidesse di liberarti dalla maledizione che su di te grava. L’intercessione di Dorian per te ha il suo valore, ma esigo ugualmente che tu offra a questo tempio 3000 Monete di Platino, a riprova della tua gratitudine nei confronti della sua magnanimità».
Questa volta la reazione nel gruppo è ben diversa: al sentire la cifra da versare, Veit perde quasi l’equilibrio, Joif spalanca la bocca, da cui però non fuoriesce alcun suono, e lo stesso Dorian cerca di balbettare qualcosa, ma un’occhiata del suo maestro lo zittisce all’istante, e torna al proprio posto mordendosi il labbro.
«Queste sono le condizioni, ora prendete la vostra decisione».
«Così sia» conclude il Chierico, appoggiando lo zaino a terra ed iniziando a frugarvi dentro in cerca delle monete.
«Così sia?» sbotta l’impetuoso Guerriero, «Tutto qui? Dorian, non puoi...?».
«No, non posso!» taglia corto questi, con voce irritata. «Ora datemi una mano ad accumulare i soldi, se davvero ci tenete alla salute di Kerwyn!».
Le dure parole mettono tutti quanti al lavoro, ed in breve ogni membro del gruppo, esclusa Wally, accumula un proprio ammasso di ricchezze per pagare il conto; anche Inejhas decide di partecipare, e la sua offerta è piuttosto consistente. Dorian, che attualmente trasporta il maggior numero di monete, dà fondo a tutte quelle che erano le sue ricchezze, ed in questo modo, la somma pattuita viene raggiunta: il cumulo di preziosi è invero imponente, essendo costituito non soltanto da Monete di Platino, ma anche da monete di minor valore e da oggetti magici, facendolo assomigliare al bottino di un Drago.
Kergorbart convoca due subordinati, ai quali comanda di verificare l’entità ed il valore di tutti i componenti del tributo, dopodiché, avuta la conferma che il valore è esatto, si rivolge agli avventurieri: «Molto bene, l’offerta al tempio è stata elargita. Gioitene, giacché le ricchezze da cui vi siete appena separati garantiranno un pasto caldo ed un morbido giaciglio a molte persone bisognose!». Poi prende il braccio di Kerwyn e lo conduce al maestoso altare del tempio; i compagni s’apprestano a seguirlo, ma Dorian li ferma con un cenno della mano, spiegando loro che è meglio restare indietro per non intralciare la delicata operazione.
«Ora, giovane Kerwyn, è tempo che Kord ponga rimedio alle ingiustizie da te subite, e che rigeneri la tua anima deturpata. Il male che ti soffoca verrà spazzato via dalla divina luce della forza, sempre che tu ti dimostri degno di meritare un simile favore».
Ad un cenno della mano di Kergorbart, le numerose candele che adornano l’altare s’infiammano, spargendo una tiepida ma decisa luce tutt’intorno, e rischiarando il volto del Ladro, in ginocchio davanti alla possente struttura di pietra. L’arcidiacono intanto indossa una tonaca dall’aspetto semplicemente sublime, degna d’un sacerdote del calibro di Prator, e solennemente adorna il suo collo con un Simbolo Sacro interamente d’oro, il cui bagliore riflesso delle candele compete alla pari con il mucchio di ricchezze ancora sul pavimento; infine si arma di un grosso libro rilegato in pelle, sulle cui pagine sono incisi canti di preghiera a Kord e brani del passato. Kerwyn viene sistemato su di un tappetino sotto l’altare, raccolto in preghiera come un fedele in cerca d’una grazia; Kergorbart intanto dà inizio a numerosi riti, tutti accompagnati dal soave aroma d’incenso che viene messo a bruciare, per predisporre l’anima del Ladro ad implorare Kord in ordine della felice riuscita della liturgia.
Quando Kergorbart tace, non il più piccolo rumore si avverte entro le bianche mura: ogni fedele, ogni sacerdote, e persino tutti gli affamati che quel giorno sono venuti a chiedere un pasto caldo hanno gli occhi puntati verso l’arcidiacono e la figura inginocchiata al suo cospetto. In quel momento, Kergorbart prende tra le mani il prezioso cilindro le cui pareti celano la potentissima pergamena, e con sussurri incomprensibili mormora una formula misteriosa, mentre la sua mano destra si sposta freneticamente a sfiorare diversi punti della superficie; all’improvviso si ode uno scatto meccanico, ed il cilindro finalmente si apre: il potere emanato dal suo contenuto investe i presenti come una folata di vento. La pergamena viene srotolata, e finalmente il Capochierico inizia a recitarne i complicati versi incisi: l’atmosfera si appesantisce d’improvviso, e nel tempio cala un’ombra anomala e sinistra, accompagnata da raffiche ventose che spengono tutte le candele. Ciononostante Kergorbart non sembra curarsene minimamente, portando avanti l’arduo compito che gli è stato richiesto; il suo corpo inizia lentamente a staccarsi dal suolo, mentre la sua voce si fa più forte e profonda, rimbombando nella vasta sala come l’urlo d’una terribile creatura. La sua fronte è imperlata di freddo sudore, e la grande fatica nel compiere un tale sforzo è palesata senza possibilità di dubbio dal suo volto, ormai mutato in una maschera sofferente; ciononostante l’uomo è molto forte, e non intende fallire per alcun motivo al mondo, ben sapendo quali potrebbero essere le fatali conseguenze d’un suo anche minimo errore.
Ai suoi piedi, Kerwyn non osa alzare lo sguardo, sentendosi schiacciato dalle vorticanti potenze chiamate in gioco in questa partita; il piccolo essere maligno che mai ha smesso di volargli attorno ora si muove come in preda al panico, quasi presagisse ciò che da un momento all’altro sta per accadere. E forse, si scopre a pensare il Ladro, forse lo sa, sa che la sua fine è vicina. D’un tratto, la curiosità ha la meglio sulla prudenza, e Kerwyn, quasi controvoglia, ma inesorabilmente, alza gli occhi verso la persona che per lui sta lottando, e lo spettacolo che assalta spietato i suoi occhi lo terrorizza: Kergorbart è sospeso in aria, ad un metro dal suo naso, e ancora stringe tra le mani il foglio di pergamena, da cui si sprigionano getti d’energia al pari di dardi scoccati dagli archi d’un esercito, i quali prendono poi a vorticare attorno al Chierico, circondandolo ed illuminandolo fin quasi a nasconderlo alla vista.
Poi, così com’è cominciato, tutto s’arresta: le energie convergono incontro a Kergorbart e lo confinano in un globo di pura luce dorata che man mano si restringe; d’improvviso però, il globo stesso s’infrange, ed un’incomparabile potenza ne riversa il lampo splendente su ogni individuo presente nella sala, inondando il tempio del bagliore dell’alba. Kergorbart torna nuovamente con i piedi in terra, il volto madido di sudore ma finalmente rilassato, e Kerwyn invece viene investito da un innaturale raggio di sole, che attraversa la fredda pietra come non esistesse, e spazza via qualunque ombra sul suo cammino; il Ladro avverte dapprima un calore soffocante che lo opprime, poi un tepore accogliente che gli libera la mente di qualsiasi preoccupazione, permettendo alla beatitudine di sopraffarlo. I suoi compagni al contempo osservano stupefatti la scena, ed ammirano finalmente la vittoria, poiché il raggio di luce ha irrimediabilmente incenerito l’ignobile creatura pregna di male che finora aveva seguito Kerwyn in ogni suo movimento.
Infine tutto cessa: Kerwyn finalmente si alza in piedi e si guarda attorno, i suoi compagni uniti nel silenzio, attendendo da lui di conoscere l’esito della prova. Il Ladro li osserva tutti uno ad uno, quindi sorride e proclama: «Mi sento benissimo, che altro avete da guardare?».
La ritrovata allegria del compagno basta a fugare qualsiasi dubbio sulle sue condizioni, e tutti lo abbracciano, lieti che la fosca faccenda della maledizione millenaria sia finalmente conclusa. Veit prende Kerwyn sottobraccio e gli dice con la sua solita voce possente: «Caro Kerwyn, ora è tempo di andare tutti a farci una bella bevuta! Alla nostra salute!».
La proposta viene accolta da tutti con entusiasmo smisurato, e persino l’inflessibile principe Inejhas sembra ritenerla una buona idea, così l’intero gruppo lascia il tempio alla ricerca di una taverna in cui brindare per la prima volta dopo tante peripezie. Dorian tuttavia si attarda ancora un po’ nel tempio, quindi si avvicina al suo vecchio mentore e gli dice: «Maestro, volevo ringraziarla per ciò che ha fatto, non è da tutti manovrare tali energie con l’abilità che lei ha dimostrato».
«Non ringraziarmi, Dorian, ringrazia Kord. È unicamente per sua volontà che il tuo amico ora è guarito».
«Come sempre ha ragione, i limiti della sua saggezza non si sono affatto ristretti col tempo. Ma ora è di altro che vorrei discutere, se non è troppo stanco per parlare...».
«So bene di cosa vuoi parlare, Dorian, sono pur sempre il tuo maestro» lo interrompe Kergorbart. «Per quanto riguarda le difese del tempio, ho già dato ordine che vengano immediatamente ripristinate, e stavolta saranno tenute sotto costante osservazione: il nemico ormai sa di essere stato scoperto...». S’interrompe per un istante, come se soppesasse le parole successive, quindi riprende: «Resta il dilemma di Pago, ma anche per quello ho preso la mia decisione», quindi guarda il suo allievo negli occhi, il quale si sente trafitto da quello sguardo sì penetrante. «Affido la situazione a te ed ai tuoi amici, noi tutti siamo nelle vostre mani».
«C - cosa?» balbetta Dorian, sicuro d’aver male interpretato le ultime parole udite.
«Proprio così Dorian, tu ed i tuoi compagni siete senza dubbio i più adatti alla situazione. Per prima cosa, eravate lì sia quando tutto è cominciato, sia fino a ieri, quindi meglio di chiunque siete al corrente della situazione e sapete come muovervi; inoltre, tu sei sempre stato il mio allievo migliore, ed i tuoi compagni sono tutti uomini dalla grande forza e dal cuore saldo. Credo che tu sia stato fortunato a conoscerli».
«Maestro... noi...» nel cuore di Dorian s’affollano molte parole, ma il giovane non sa bene che cosa dire, per cui alla fine tace, domandandosi stavolta se la fiducia in lui riposta fosse davvero meritata come gli era stato detto.
Kergorbart riprende il suo discorso, con parole più dolci, quasi a voler rinfrancare l’animo afflitto e dubbioso del suo giovane allievo: «Suvvia Dorian, so che l’impresa potrà sembrarti ardua ora, ma il dio Kord è dalla tua parte, ed io ho piena fiducia nelle vostre capacità. So che un gruppo come il vostro potrebbe compiere qualsiasi impresa, e ben oltre le Terre Dietro l’Angolo!».
«Ha ragione, maestro!» conclude Dorian, rinfrancato dalle ultime parole e caricato di grinta dal semplice nome della propria divinità, «Metteremo fine alle malvagie macchinazioni di quegl’immondi esseri, libereremo la città di Pago dai loro putridi artigli e riporteremo la pace nelle Terre Dietro l’Angolo! Dovesse costarmi la vita, farò di tutto pur di mantenere questa promessa!».
«Ciò che hai detto è esattamente quanto mi aspettavo di sentire da te. Bene allora, oggi sulle vostre spalle grava un peso ben più grande di qualunque altro abbiate mai dovuto portare. Ma so che ce la farete. Ora, mio giovane Dorian, torna dai tuoi compagni, e passa una serata all’insegna dello svago e del sano divertimento. Solo gli dei sanno se e quando avrai nuovamente occasione di trascorrerne una così. Domani sarà un lungo giorno».
«Sì maestro, lo farò» risponde il Chierico. «Addio, e stia bene», dopodiché varca le ampie porte del candido tempo, accogliendo lieto gli ultimi raggi di sole che gl’inondano il volto. Si reca dunque alla locanda della piazza, dove da giovani lui e Veit solevano andare, e ivi trova i propri amici, raccolti intorno ad un lungo tavolo, che lo salutano rumorosamente, e gli fanno cenno di unirsi a loro. Numerosi boccali di birra vuoti adornano la scena, e le teste di molti al tavolo ondeggiano pericolosamente, ma Dorian si unisce a loro senza pensarci un istante, ed ordina al barista tre boccali di birra scura; anche Wally è seduta tra loro, ma sorseggia in silenzio da un bicchiere, in un angolo della tavola. La serata ben presto si anima, e gli schiamazzi del gruppo tosto si mescolano a quelli degli altri avventori, i quali sempre più numerosi prendono posto ai tavoli; canti stonati e balli maldestri sono il fulcro di una delle solite serate nelle locande di Norbat, che niente hanno a che vedere con i pensieri e le preoccupazioni del domani: anche il più disgraziato degli uomini, in queste situazioni dà il meglio di sé, dimenticando per una notte tutti i problemi di una vita poco clemente.
Le ore trascorrono in fretta, e la birra che continua ad affluire sortisce ben presto il suo effetto: chiunque nella sala è in uno stato che va dall’alticcio all’ubriaco, eccetto Xanter, su cui l’alcool sembra non avere effetto, Inejhas, il cui retaggio lo spinge ad evitare simili mescolanze di cultura, Wally, e pochi altri sparsi ai tavoli.
Joif, l’abito intriso di birra e le pupille dilatate, è il primo a salire nella sua stanza, accompagnato a braccetto da tre belle fanciulle che lo sorreggono, mentre lo guardano con occhi avidi e desiderosi. Ben presto, anche il principe si ritira a dormire, salutando i compagni e ricordando loro ciò che li aspetta il giorno seguente; Wally lo imita quasi subito, ma Kerwyn, Xanter, Dorian e Veit rimangono ancora per qualche tempo, ridendo, scherzando e raccontandosi aneddoti non sempre veri delle proprie vite sentimentali. Alla fine, però, anche loro decidono di andare a dormire, portando in spalla Veit, che da solo aveva bevuto oltre un gallone di birra.
La notte passa tranquilla per la maggior parte di loro, eccezion fatta per qualche conseguenza dovuta a tutto l’alcool ingurgitato la sera prima, ma all’alba del giorno dopo Inejhas è l’unico ad essere sveglio. O perlomeno così pareva...
Il principe fa il giro delle stanze, tirando giù dal letto tutti i compagni di viaggio, meno Wally, giacché mai si permetterebbe di svegliare una donna che non lo desidera; la stanza di Xanter è completamente vuota, come se nessuno vi avesse trascorso la notte, ma la cosa non allarma Inejhas, conoscendo questi le abitudini notturne degli Elfi e ritenendo che il compagno avesse preferito camminare per le strade della città. Il risveglio non è dei più semplici, ma lentamente tutti lasciano i propri giacigli e scendono le scale, dove li attende una colazione come non ne gustavano da molto tempo. Dorian si attarda nella sua stanza più tempo rispetto agli altri, per terminare i consueti rituali che ogni giorno dedica alla propria divinità, ma il suo operato viene intralciato da Joif il quale, per farsi due risate, s’intrufola nella stanza del compagno e gli sottrae il prezioso Simbolo Sacro. Quando il Chierico si accorge della scomparsa monta su tutte le furie, e recuperato l’oggetto a lui più caro punisce il Bardo maledicendolo, e condannandolo a subire una lunga serie di attacchi di dissenteria.
Al di fuori di questo episodio, tuttavia, la mattina prosegue tranquilla, e la colazione viene consumata in allegria e tranquillità. Passata più di un’ora però, il principe inizia a domandarsi il motivo del ritardo del loro compagno dalle orecchie a punta, così lascia il tavolo e si reca al bancone, dove domanda al locandiere notizie di un Elfo che questa notte ha dormito in locanda. Questi risponde che proprio l’Elfo a cui la sera prima si accompagnavano era sceso qualche ora prima dell’alba, aveva pagato il suo pernottamento e se n’era andato senza aggiungere altro; aveva inoltre lasciato una lettera, indirizzata ai suoi compagni, chiedendo al locandiere di consegnarla loro quando si fossero accorti della sua assenza. Quindi l’uomo si china sotto il bancone e ne riemerge con un pezzo di pergamena ripiegato, sulla cui facciata, con la grafia del Ranger, era scritto: “Ai miei amici, da Xanter -Alopex- Saverem”.
Inejhas prende la lettera e la porta al tavolo dove i compagni sono seduti, un po’ intontiti, a consumare la colazione; nessuno di loro si era preoccupato dell’assenza del compagno, tutti ritenendo perfettamente lecito che ci si allontanasse per sbrigare i propri affari prima della partenza. Quando però il Paladino mostra loro il foglio di pergamena, gli ultimi effetti dell’alcool svaniscono d’improvviso, e Veit, con mani tremanti, dispiega la carta e comincia a leggere ad alta voce.


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:12
 
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view post Posted on 8/4/2009, 12:16
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C
ari compagni...
Quando avrete letto questa lettera,
io sarò già andato via...
Ho preferito dirvelo in questo modo,
piuttosto che potervi rivelare
questo mio intento
di persona...
Non posso darvi molte spiegazioni,
ma semplicemente vi dico
che in un certo senso fuggo
dalla mia inadeguatezza
di fronte a voi...
Diciamo che ormai non riesco
a sopportare oltremodo
questo mio senso di debolezza...
Mi mancheranno i vostri volti;
mi mancherà l'arguzia di Kerwyn,
mi mancherà lo sprezzo del pericolo di Veit;
mi ricorderò per sempre della bontà di Dorian
come della simpatia dello spassoso Joif.
Wally e il principe Ihnejas li conosco da poco,
ma avrò nostalgia dei suoi occhioni,
e del valore e del coraggio del Principe...
Spero di incontrarvi di nuovo
un giorno,
privo di guerre e sofferenze...
Addio...


Vostro Xanter "Alopex" Saverem

 
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Rieccomi a voi, in ritardo come sempre, ma con una pessima scusa per giustificarlo, che nemmeno vi dirò :lol: .
Quindi, leggete e zitti!


Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 18 - Il freddo ritorno
I
l sole s’innalzava pigramente al di là dei colli, e la sua tiepida luce inondava con lenta gradualità le terre circostanti. La notte era passata, e con essa il gelo delle tenebre: adesso la brina che per ore aveva sedimentato sulla verde distesa erbosa della valle cedeva lentamente il predominio, mentre i raggi solari la scioglievano implacabili.
Il solitario viandante, avvolto nella sua cappa agitata dal vento, contemplava immobile il sorgere dell’astro ed il suo insediamento nel candido cielo; eppure quel giorno, dai più avvertito come un giorno comunissimo, gli lasciava in bocca un sapore amaro, e sul suo volto all’ombra del cappuccio sembrò balenare uno scintillio, come se un raggio di sole si fosse riflesso in una goccia solitaria nell’ombra. La figura si voltò, e rimase a fissare le mura di Norbat ancora per qualche tempo: sembrava indugiare, insicuro di ciò che stava facendo, ma infine chinò il capo, e s’incamminò risoluto in direzione dell’orizzonte incandescente. “Sarà invero un lungo viaggio”.

“Cari compagni...
Quando avrete letto questa lettera, io sarò già andato via... Ho preferito dirvelo in questo modo, piuttosto che potervi rivelare questo mio intento di persona...
Non posso darvi molte spiegazioni, ma semplicemente vi dico che in un certo senso fuggo dalla mia inadeguatezza di fronte a voi... Diciamo che ormai non riesco a sopportare oltremodo questo mio senso di debolezza...
Mi mancheranno i vostri volti; mi mancherà l’astuzia di Kerwyn, mi mancherà lo sprezzo del pericolo di Veit; mi ricorderò per sempre della bontà di Dorian come della simpatia dello spassoso Joif. Wally e il principe Inejhas li conosco da poco, ma avrò nostalgia dei suoi occhioni, e del valore e del coraggio del Principe...
Spero di incontrarvi di nuovo un giorno, privo di guerre e sofferenze...
Addio...

Vostro Xanter -Alopex- Saverem”



Veit continua a leggere la lettera senza sosta, mentre attorno a lui ogni singola espressione felice al tavolo si è dileguata: i volti poco prima gioviali degli avventurieri ora sono contratti in un’espressione d’angoscia e sgomento. Tutti loro sono rimasti sconvolti da ciò che sono i sentimenti di Xanter, ed ancor più li rattrista la sua decisione di staccarsi dal gruppo per condurre una propria solitaria battaglia nella medesima guerra che finora li ha accomunati: una battaglia probabilmente senza ritorno.
Veit è forse il più sconvolto di tutti: il suo rapporto con l’Elfo era sempre stato indissolubile, ed entrambi si sentivano quasi fratelli; in innumerevoli occasioni le loro lame si erano supportate sul campo di battaglia, ed i loro animi erano sempre vicini. Ogni volta che la vita di uno era in pericolo, l’altro accorreva immediatamente a dargli manforte, come durante la battaglia con il Golem nella torre, o nel primo scontro con i Treant, ed ancora prima contro un misterioso Druido di cui il Guerriero non conserva alcun ricordo.
Ma ora tutto era giunto al termine. Xanter se n’era andato, convinto di non essere abbastanza forte per il gruppo, e la sua partenza lasciava gli avventurieri amputati di uno dei più grandi compagni che avessero mai avuto: un combattente eccezionale, maestro indiscusso dell’arte delle due spade, nonché un essere dall’animo cristallino, la cui bontà ed il cui ottimismo lo hanno più volte spinto a difendere gli amici sacrificando se stesso.
Il Guerriero rilegge ancora una volta le fatali righe scritte poche ore prima da Xanter, incapace d’accettare l’ineluttabile verità, e tuttavia ancora speranzoso che fosse tutto un sogno, che potesse da un momento all’altro destarsi dal suo sonno ed udire la voce del Ranger che lo esorta ad unirsi agli altri per la colazione. Ma lentamente si convince che nulla farà cambiare le cose, e che con molta probabilità non avrebbe visto Xanter mai più.
«Suppongo che prima o poi sarebbe accaduto» commenta il principe Inejhas, con voce saccente. «In fin dei conti lo stress è evidente... bisognava solo intuire chi sarebbe crollato per primo». Nessuno risponde a queste parole, ma il Paladino prosegue: «In fondo lo capisco, a tutti può capitare di avere paura...», ma ogni possibilità di terminare la frase gli viene negata da un Veit furibondo, che lo agguanta per la veste con occhi furenti.
«Non osare!» gli urla in volto, accompagnando ogni parola con uno scossone, perfettamente incurante di Kerwyn, Dorian e Joif, che invano tentano di separarlo da un Inejhas stravolto e terrorizzato. «Non! osare! dare! a! Xanter! del! codardo!! Mai più!!». Quindi lo lascia andare e torna a sedersi al suo posto, sotto gli occhi di tutta la gente ospite nella taverna.
«Non parlare di cose che ignori, quell’Elfo aveva molto più coraggio di tutti noi messi assieme! Ponilo davanti ad un esercito di demoni furiosi, urlagli in faccia che è destinato a morire e ti ringrazierà di avergli procurato tante meschine creature da sterminare!». S’interrompe per alcuni istanti, durante i quali nessuno esterna la propria volontà di proferir parola, quindi prosegue: «Non fatemi ridere! Non è certo per paura che ci ha lasciato. Evidentemente aveva altre faccende da sbrigare da solo, e ha inventato l’assurda scusa di non sentirsi adeguato al gruppo, ritenendoci dei sempliciotti che credono a certe fandonie. Ma state certi che quando avrà terminato con i suoi affari tornerà a combattere al nostro fianco come sempre, ancora più astuto e letale di prima!».
Quando la voce del Guerriero si disperde completamente, di nuovo cala il silenzio, solo in parte mitigato dal vociare di sparute coppie che non fissano l’enorme uomo; ad un tratto però Kerwyn balza in piedi al pari del compagno, dicendo: «Giusto! Chi pensava di abbindolare con quella lettera? Sicuramente avrà da fare, ma dategli al più una settimana di tempo e le sue lame torneranno a terrorizzare i Demoni di Pago!».
«Hai ragione!» conclude Dorian, anch’egli alzandosi dalla sedia. «Quindi faremo meglio a sbrigarci, o quando arriveremo a Pago Xanter avrà già risolto tutto!». Al che tutti quanti si alzano da tavola e varcano la soglia della locanda, uscendo all’aria aperta e fermandosi un momento a contemplare la perfetta e stupefacente luce del sole. Il Chierico, distogliendo lo sguardo dal globo di fiamme che di lì a poche ore non avrebbe più potuto ammirare, prepara il suo incantesimo, fissando la sua mente su quello che era il loro obiettivo. Le mani s’impregnano di potere, che si scatena sulle palme sotto forma di vortici d’aria, e quando le sue dita toccano i compagni parte del potere si trasferisce ad essi, i quali assumono un colore più sbiadito, come se immersi nella nebbia; quando giunge davanti a Wally, le chiede: «Wally, quali sono le tue intenzioni? Noi ci apprestiamo a ripartire per Pago, ma tu non sei in alcun modo vincolata a noi, né hai l’obbligo di accompagnarci. La decisione è solo tua». L’Halfling resta immersa nei suoi pensieri per molto tempo, passando in rassegna una per una tutte le possibilità che le vengono messe a disposizione dal caso o dal destino, infine così si pronuncia: «Qui a Norbat non v’è niente per me, e non vedo alcun motivo per restare. Ormai non mi rimanete che voi, ed inoltre ho ancora dei conti da regolare a Pago; ho deciso di venire con voi».
«Molto bene allora, se questi sono i tuoi desideri» dice Dorian, sfiorandole la spalla con la mano e trasferendole il divino potere; col passare del tempo, la diffidenza nei confronti di Wally si era affievolita fin quasi a svanire, ma nessun membro del gruppo osava abbassare la guardia: non si sapeva ancora niente sul suo conto, ed il suo comportamento era alquanto sospetto. Tuttavia, nessuno ha da obiettare sulla decisione da lei presa, e conclusi gli ultimi preparativi i sei si alzano in aria dove, confusi tra le nuvole e nascosti agli sguardi più attenti, invocano l’aiuto del vento, che prontamente risponde e li sospinge alacremente verso la loro meta: Pago di Val Torkmannorack.

Il sole era alto nel cielo, ma la raminga figura ancora non accennava ad interrompere la lunga marcia: le sue gambe, spinte da un’inesauribile energia, non sembravano necessitare di riposo, seppur mai avessero interrotto la loro marcia dacché il viandante s’era incamminato all’alba. Il paesaggio attorno a lui mutava ancora ed ancora, ma egli procedeva sicuro di sé ed apparentemente incurante di ciò che intorno a lui accadeva; eppure da tempo oscure nubi minacciose occupavano il delicato cielo, negandogli la familiare vista del sole, e neri alberi spogli lo circondavano nel suo cammino, mentre prima i suoi passi erano accompagnati da fresche fronde verdi abitate da giocondi animali, il cui verso da tempo non riecheggiava più nelle sue orecchie.
D’improvviso qualcosa si mosse tra i rovi e i tronchi morti, qualcosa di estremamente silenzioso e pericoloso; il ramingo continuò ad avanzare senza battere ciglio, evidentemente all’oscuro di quello che accadeva alle sue spalle: dal sottobosco emerse una bieca creatura, simile ad un lupo, ma più grossa e ben più spaventosa. I suoi occhi, pazzi d’ira furiosa si puntarono sulla schiena della preda, e le sue larghe fauci si dischiusero lente, rivelando due file di orridi denti le cui macchie di sangue mai erano scomparse. La creatura balzò, il suo ringhio profondo fu l’unico avvertimento del fulmineo attacco. La schiena dell’ammantata figura sempre più prossima ai suoi letali artigli, la preda ancora non accennava a voltarsi, quasi non avesse udito il feroce ringhio a lui indirizzato dalla belva cacciatrice; ma ecco che d’un tratto s’arrestò, immobile sul posto, quasi ad accettare l’ineluttabile destino che di lì ad un secondo l’avrebbe gettato nell’oblio. La fiera lo raggiunse.
Nel tempo d’un battito di ciglia tutto si concluse: un bagliore inaspettato si propagò dalle mani del viandante, e quando si disperse questi era voltato, in ginocchio con lo sguardo al suolo, due fulgide spade strette nelle mani e sollevate verso il cielo. Alle sue spalle i brandelli del lupo fluttuavano in aria, ancora sospinti dallo slancio raccolto dalla creatura prima dell’attacco; sul suo volto ancora un guizzo di folle ferocia. Nel momento in cui le carni caddero al suolo, le lame vennero rinfoderate, e la figura s’alzò in piedi, ritornando sui suoi passi; accanto al corpo trucidato della bestia si soffermò, e prima di proseguire il suo cammino mormorò: «Perdonami».

Un cielo limpido e luminoso si presentava quella mattina, le cui candide nubi rassomigliavano a batuffoli d’ovatta sparsi sull’immensa volta; il vasto disco luminoso ardeva fiero mentre viaggiava attorno al pianeta come ogni giorno prima di questo, e la natura era come sempre pronta a compiere il suo ciclo. Ovunque volgesse lo sguardo, un osservatore avrebbe provato pura e semplice pace, e gioiosa allegria. Eppure gli umori di sei avventurieri quel giorno erano molto bassi: mentre attraversavano leghe e leghe di viaggio, volando su piane e colline, su valli e boschetti, i loro occhi potevano chiaramente distinguere i rapidi cambiamenti che un misterioso male apportava al terreno con cui veniva a contatto: ogni filo d’erba che marciva poggiava la sua carcassa su di un filo sano, contaminandolo, e condannando l’intero mondo ad una lenta ed esasperante agonia prima della fine. Il centro del malanno era l’ormai cadente capitale nanica di Pago di Val Torkmannorack, ove essi si dirigevano, con il coraggioso quanto folle intento di fermare lo scempio.
Il cielo terso e puro aveva ormai da tempo ceduto il passo a nubi pesanti e minacciose dal colore del fango, quando i venti divini sospingono i sei fino alla vista delle alte mura. Ai loro occhi la città non sembra cambiata: la barriera vermiglia svetta ancora dalle mura, quale baluardo impenetrabile per coloro che osano opporsi all’imminente invasione, ed intorno alle mura continuano a marciare pattuglie armate di Derro, i piccoli esseri simili a Nani la cui follia li ha resi schiavi dei Demoni. Al di là, le inquietanti torri continuano a risucchiare le energie del terreno, spandendo la desolazione ovunque attorno a loro.
Niente lasciava pensare che, nonostante gli impostori nel tempio fossero stati smascherati, qui a Pago fosse cambiato qualcosa; perfino la torre della dottoressa Virago, espugnata dagli avventurieri ed usata come rifugio fino al giorno prima, appariva immutata, quasi non rientrasse negli interessi degli invasori. La cosa tuttavia, per quanto sospetta ed inquietante,nascondeva anche un lato positivo, poiché significava che il gruppo aveva ancora un luogo in cui rifugiarsi: i sei compagni dunque planano dolcemente fin dentro la radura ove sorge la torre, la cui sommità è ancora imbrattata del sangue di vittime innocenti.
«Sembra che la torre sia ancora disabitata» commenta Veit, lanciando uno sguardo obliquo all’imponente struttura di legno.
«Così sembra» risponde Dorian, «ma non possiamo saperlo con certezza. È meglio ricontrollarla con cautela, soprattutto ora che i nostri avversari sanno di essere stati scoperti; credo che dovremmo...»; ma la frase non vide mai una conclusione, poiché spezzata da un evento del tutto inaspettato: all’improvviso, il cielo già affollato da nubi s’oscura ancor di più, ma le nuvole vengono squarciate da un fascio brillante di fredda luce, come un fulmine nero. Già una volta un tale evento s’era manifestato loro, ed alla stessa maniera il fulmine si scarica sul Chierico, sotto gli occhi sgomenti dei suoi compagni: la figura viene sollevata da terra come priva di peso, mentre immonde energie la invadono senza pietà, soffocando il suo grido disperato finché tutto non termina, d’improvviso com’era cominciato. La luce che filtra attraverso le nubi, per quanto fioca sia, abbaglia i giovani dopo il nero lampo; ma la cosa non li rallegra, mentre con i loro occhi osservano Dorian che respira affannosamente, incapace di rialzarsi. Stavolta tutti sanno bene cosa è accaduto, anche se sperano ardentemente di sbagliarsi: eppure il rampollo dei Wraiten, fiero sacerdote del clero di Kord, giace bocconi ai loro piedi, costretto a terra dal peso della sua stessa armatura; al suo fianco, un maligno essere delle dimensioni d’un insetto ronza e svolazza attorno al suo capo.
L’intero gruppo rimane immobile per qualche istante, finché Inejhas, riscosso dalla sorpresa, aiuta il compagno a rimettersi in piedi.
«Come ti senti, amico mio?» domanda il principe, appoggiando il braccio corazzato del Chierico sul proprio collo. Dorian sembra non udire la domanda a lui indirizzata, limitandosi ad ansimare mentre cerca di mantenersi in equilibrio; Quando, dopo diverso tempo, riesce a recuperare sufficienti forze da mantenersi da solo, risponde: «Non v’è dubbio. Ancora una volta la Maledizione delle Mille Lacrime affligge il nostro gruppo».
«Sei davvero sicuro che si tratti anche stavolta di un anatema di tale portata?» interloquisce Kerwyn, un’aria diffidente stampata sul volto.
«Il Ladro ha ragione» aggiunge Veit, «com’è possibile che un’altra creatura decida di trascorrere un’eternità d’inferno pur di impedire la nostra missione?».
«Eppure Dorian è davanti a noi, con una nera forza che lo consuma lentamente, proprio come Kerwyn prima di lui» commenta Joif, e le sue parole precedono il silenzio. «Che giorno nefasto è questo, per noi! Abbiamo dovuto subire la perdita di un nostro compagno, ed ora anche questo!».
Wally nel frattempo rimane silenziosa, seduta sul tronco d’un albero, lontana dal resto del gruppo. «Può darsi che un altro dei nostri nemici abbia appena compiuto un sacrificio estremo» dice il Ladro, con voce lenta e occhi fissi al suolo come se pensasse ad alta voce; poi alza lo sguardo: «ma non potrebbe trattarsi della medesima maledizione che colpì me? È possibile che il mio fardello sia stato in qualche modo trasferito a te?».
Il respiro di Dorian, intenso ed affannoso, si affievolisce leggermente, il suo battito rapidissimo rallenta fin quasi a rientrare nella norma, mentre egli supera il primo impatto con la maledizione; allora risponde: «Ciò che dici potrebbe corrispondere a verità, ma temo che non lo scopriremo mai. Ora però...», ma il loro discorso viene interrotto da sordi rumori di creature nelle vicinanze: una pattuglia sentinella di Derro marcia con passo deciso nella loro direzione, probabilmente attirata dal fulmine maledetto; in un istante gli avventurieri sono in piedi, armi in pugno, pronti a fronteggiare la nuova minaccia. La carica dei Derro è compatta e veloce, probabilmente fatale per qualsiasi comune gruppo di umani; tuttavia gli avventurieri arrestano l’avanzata dell’intera truppa senza fatica, ingaggiando una sanguinosa battaglia, accompagnati dalla magica voce del Bardo Joif. I micidiali fendenti di Veit, i mortali pugnali di Kerwyn, i precisi affondi di Inejhas abbattono un numero impressionante di nemici, mentre non uno solo di questi riesce a portare a segno un colpo; anche Dorian è nella mischia, ma la sua condizione fisica gli impedisce di muoversi con la maestria tipica dei sacerdoti guerrieri di Kord, rendendo i suoi attacchi deboli e vani.
D’improvviso, dalle retrovie della pattuglia, molti Derro piombano in terra, trafitti da lunghe frecce nere; i sei non vi fanno molto caso, da principio, ma dal profondo della foresta altri dardi saettano, abbattendo con mortale precisione numerosi nani grigi. Nel giro di qualche secondo, l’intera pattuglia di sentinelle giace al suolo priva di vita; i corpi ammassati gli uni sugli altri sono un macabro spettacolo alla vista, ma al momento non è questa la preoccupazione dei membri del gruppo, i cui occhi sono fissi nella direzione da cui le numerose frecce sono partite.
«Chi è là?!» domanda la possente voce di Veit, le cui mani non allentano la presa sullo Spadone, «Fatti vedere! Se sei un amico, mostrati a noi. Se sei un nemico, affrontaci da uomo!».
«Puoi anche rinfoderare quella lama, non ne avrai bisogno» gli risponde una voce melliflua ed acuta, che coglie tutti di sorpresa. «Voglio solo discutere con voi; se avessi voluto uccidervi, a quest’ora le mie frecce si troverebbero nelle vostre gole, non nelle loro schiene».
Lo stupore è tale che nessuno di loro risponde, limitandosi a fissare la figura che sbuca fuori dalle secche sterpaglie nel fitto del bosco. Una creatura dell’altezza di Kerwyn, dalla pelle giallognola avvolta in una cappa scura si fa largo tra i rovi e le radici come se camminasse su di un verde prato; la sua mano destra è serrata sull’impugnatura di un lungo arco di legno, mentre la sinistra ripone una freccia all’interno di una lunga faretra che gli pende dal fianco. I numerosi dardi che s’intravedono appaiono di ottima fattura, così come l’arco, a tal punto da incutere un leggero timore negli animi degli avventurieri. La creatura che li osservava doveva essere un grande guerriero.
«Il mio nome è Jorsenaur, giovani avventurieri» dice l’Hobgoblin, «e sono qui per proporvi un patto».

Il sole era oramai tramontato, ma al di là della fitta coltre di nubi sarebbe stato impossibile scorgerlo; l’intero paesaggio nei paraggi trasudava malvagità ed ispirava paura e diffidenza, eppure la figura avanzava sicura, con passo sempre eguale, quasi scivolasse sul terreno, piuttosto che camminarci sopra. Infine, innanzi ai suoi occhi si stagliò la visione che a lungo aveva aspettato: le fredde mura cingevano una città in rovina che un tempo doveva essere splendida, mentre ora veniva sommersa da muschi e detriti, in attesa della fine del mondo. Le torri si stagliavano alte nel cielo, là dove neri fumi che partivano dal suolo si confondevano con le nuvole, andando ad insozzare un’aria già corrotta dall’innominabile male che da tempo albergava in quella terra.
Lo sguardo del viandante scorse dal suolo al cielo, contemplando lo spettacolo che offriva la barriera vermiglia che svettava dalla cima delle mura ed ascendeva ritta e perfetta, fino a perdersi tra i cieli. Si tolse il cappuccio e scosse la testa, liberando una lunga chioma di lisci capelli; le sue orecchie a punta si drizzarono in un baleno, captando qualunque suono nell’area.
Il viandante appoggiò incerto le mani sulle else che facevano capolino ai suoi fianchi, quindi sguainò le sue lame, che scintillarono nel buio con fosca bellezza. Le sollevò all’altezza del volto, scrutandole attentamente una alla volta, ed infine le rinfoderò.
«Eccomi» disse, «sono tornato».


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:13
 
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view post Posted on 8/5/2009, 19:10
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L'ho letto come solitamente leggo i tuoi recap, che anche ad una lettura superficiale rivelano argute soluzioni stilistiche. Qui mi ci metterò di impegno, ma una prossima volta.
Sempre ardimentoso di seguire il tuo prossimo capitolo.
 
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view post Posted on 12/5/2009, 10:34

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Wow, grazie del complimento :wub:
I prossimi capitoli probabilmente subiranno un rallentamento, perché a parte i doveri di studente ed il tentativo di prendermi la patente senza buchi nell'acqua, sto riscrivendo i capitoli precedenti, molto poveri, privi di qualsiasi calore. Dei semplici riassunti, insomma :P

Col Prologo ho quasi finito, lo modificherò non appena sarò soddisfatto (sta diventando troppo lungo per un solo post, mi sa che mi tocca dividerlo :lol: ).
 
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view post Posted on 22/5/2009, 11:31

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Il Prologo - Parte 1 è ora disponibile alla prima pagina. La narrazione riprenderà tra breve (adoro parlare in stile "messaggi delle ferrovie" :lol: )
 
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view post Posted on 23/5/2009, 13:12
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Perché non hai fatto un post a parte? Ci dispiace perdere ciò che è stato del vecchio prologo.
 
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view post Posted on 25/5/2009, 15:14

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Dici che avrei dovuto?

E' che il vecchio Prologo ormai era superato, ed a rileggerlo mi sembrava scarno ed approssimativo...
Pero' ne ho comunque una copia salvata, quindi magari lo postero' come intermezzo ^_^
 
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view post Posted on 25/5/2009, 18:17
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Beh, non nego che sussiste un legame affettivo... le vecchie versioni conservale, non si sa mai.
 
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view post Posted on 1/6/2009, 01:55

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Prologo - Parte 2 postato appena sotto.
 
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