Le Terre Dietro l'Angolo, Tra Ghiottoni, Trogloditi, Demoni e Polli Volanti, l'avventura del mitico gruppo

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 10/6/2009, 23:39

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Vi chiedo scusa per l'attesa, ma purtroppo il mio computer ha deciso di non leggere la mia USB, e le ultime modifiche al Diario sono salvate lì in copia unica :P
 
Top
view post Posted on 19/7/2009, 14:56

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Beh, meglio tardi che mai, no? Ecco...

Godetevi il Capitolo 19.


Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 19 - Il patto
L
a meravigliosa città di Pago di Val Torkmannorack, un tempo imponente roccaforte, orgoglio dei Nani, è ora ridotta ad un vile rifugio di empie creature, che l’hanno dapprima distrutta, e con essa i suoi fieri abitanti, poi ricostruita in funzione dei loro infidi piani. La città ora trasuda malvagità, ed il solo aggirarsi nelle terre circostanti, il solo respirare l’aria malsana che ristagna ai confini delle mura squarciate basta ad avvelenare il corpo ed a corrompere lo spirito, gettando nella follia qualunque essere, dai semplici animali dei boschi fino agli stessi alberi, ora animati da puro odio per tutto ciò che vita possiede.
La foresta che circonda l’intera muraglia, quasi fosse una barriera naturale, un tempo era fresca e verdeggiante, ed i suoi alberi offrivano ombra ai viandanti, diletto ai fanciulli e conforto ai saggi, convinti di avere il favore della natura; ormai tuttavia, cupi scheletri legnosi, restano a testimonianza dell’antico splendore verdeggiante. Tetre sagome, grigi ed aguzzi sono ora i loro rami, intricati ed affilati, pronti a graffiare e lacerare le carni di chiunque osi avventurarsi tra di loro. Eppure è proprio in questa foresta che adesso diverse creature si aggirano furtivamente.
Sette individui si fanno largo insieme tra sterpi, radici e fossi nascosti, arrancando lentamente verso una meta tuttora ignota. La loro direzione è forse tutto ciò che hanno in comune, essendo i loro aspetti molto differenti le une dalle altre; eppure come una famiglia si aiutano e si sostengono a vicenda, muovendo sempre i loro passi, lenti ma decisi.
«Ebbene» attacca a parlare il principe Inejhas, con voce ferma ed autoritaria, «ci hai detto di avere il nostro stesso obiettivo, e ci hai pregato di seguirti, ma sinora, oltre il tuo nome, non ci hai detto nulla di te o dei tuoi affari. Come puoi pensare che noi ci fidiamo di te?».
La figura alla testa del gruppo, un Hobgoblin avvolto da scure vesti e con un arco sulle spalle, si volta e dispensa al principe un ghigno divertito, poi si volta e riprende la marcia, dicendo: «Temo che non abbiate alternative: potete decidere di seguirmi ed apprenderete i dettagli che vi riguardano al momento opportuno; oppure potete tornare a percorrere il vostro sentiero e dividerlo dal mio». Per un attimo tace, interrompendo anche la marcia, quindi si volta di nuovo, con occhi talmente intensi da poter essere paragonati a carboni ardenti: «Ma sappiate che se così deciderete, la prossima volta che ci incontreremo sarà come nemici!»; quindi riprende a camminare dando le spalle al gruppo, e riprendendo il suo tono di voce: «Ma sarebbe un peccato, poiché per adesso i nostri interessi coincidono alla perfezione. Voi potete essermi utili quanto io posso essere utile a voi».
I sei compagni rimangono immobili ad osservarlo, mentre questi continua ad addentrarsi nel fitto bosco come se percorresse una semplice strada; infine si scambiano tutti uno sguardo, al contempo grave ed eloquente, e tosto riprendono la marcia, raggiungendo la loro guida. Sul volto di Jorsenaur, non notato da alcuno, balena per un istante un sorriso di trionfo.
Guidati dall’abile arciere, gli avventurieri giungono finalmente a destinazione: innanzi a loro si presenta un’insolita radura, all’apparenza del tutto naturale, ove però la strana maledizione sembra non essere giunta. Gli avidi rami degli alberi corrotti non sono riusciti a spingersi così in là da soffocare anche questo modesto angolo di tranquillità, e seppure l’erba è grigia ed avvizzita, l’impressione che offre agli spettatori è quella di un caldo rifugio in mezzo alla sferzante tormenta di montagna.
«Siamo infine arrivati» dice Jorsenaur, mettendo piede nella radura. Gli altri lo imitano, mantenendo costante la vigilanza.
«Perché ci hai condotti qui?» domanda Kerwyn, tutti i sensi in allarme pronto ad individuare trappole d’ogni genere.
«Questo che vedete è il mio rifugio. È protetto bene, anche se a voi può non sembrare così, e né Treant, né Derro, né Demoni possono accedervi».
«Come hai ottenuto un simile effetto?» biascica Dorian, sfinito dalla marcia e dalla maledizione, «è forse attiva una sorta di Proibizione?».
«No. Semplicemente, chiunque guarda è convinto di scorgere una semplice radura. Come voi d’altronde». Allo sguardo interrogativo degli avventurieri, Jorsenaur risponde con un altro ghigno, dopodiché si avvicina al confine della radura ed allunga la mano verso il vuoto; ad un certo punto, le sue lunghe dita si serrano contro qualcosa che nessuno dei sei compagni riesce a discernere, e tirano. Ai loro occhi compare come d’incanto la soglia d’una porta, una porta così ben mimetizzata nell’ambiente da essere assolutamente invisibile, al pari dei muri e del loro contenuto; sull’uscio appaiono rapidi altri due Hobgoblin, ben equipaggiati e pronti a colpire, ma abbassano le armi non appena riconoscono la figura che si trova al loro cospetto.
«Sei in ritardo, capo» squittisce uno di loro, con voce molto acuta.
«È così. La marcia è stata più lenta del previsto» risponde l’arciere con un’occhiata a Dorian. Quindi varca la soglia, invitando gli avventurieri ad imitarlo al più presto, prima che qualche creatura nei paraggi possa accorgersi di loro. Quando finalmente tutti sono entrati, la porta viene nuovamente sigillata, lasciando il rifugio invisibile sotto gli occhi di chiunque. All’interno, la struttura è perfettamente rassomigliante ad una casa umana: diverse brande pendono dalle pareti a sostituire i letti; un ripiano su cui sono appoggiate provviste e ciotole empite di liquidi inquietanti è sistemato nell’angolo più lontano. A breve distanza da esso vi è una rastrelliera con diverse armi ordinatamente disposte, a cui si appoggiano scudi, corazze leggere ed alcune faretre di frecce identiche a quelle maneggiate da Jorsenaur; infine, al centro dell’ampia stanza un basso tavolino contornato da sgabelli orna il pavimento altrimenti spoglio. Sulla superficie giacciono numerose carte, i cui disegni sono inequivocabilmente piante della città di Pago e dei suoi dintorni. Ma ad attirare i primi sguardi sbalorditi del gruppo è il piccolo caminetto di fianco al tavolino, nel cui interno scoppietta una fiamma allegra che scalda l’ambiente.
«Com’è possibile?» esclama Kerwyn, indicandolo, «Non abbiamo visto del fumo mentre ci dirigevamo qui».
«Mi dispiace, ma questo fa parte dei segreti del nostro popolo, e non vi è dato conoscerli» replica Jorsenaur pacatamente, «e non è per accrescere la vostra cultura nei nostri riguardi che siete stati condotti fin qui, e messi al corrente del nostro rifugio nascosto».
«Significa forse che finalmente ci dirai chi diavolo sei in realtà e perché ancora non hai vanamente tentato di ucciderci?» la voce di Veit sovrasta largamente il leggero brusio che si era creato fra i due compagni dell’arciere, causandone il silenzio.
«Vanamente?» interviene quello dalla voce stridula, «Ha! Sciocco Umano, non hai idea del rischio che corri a pronunciare parole così impudenti verso il nostro capo. Se conoscessi la sua vera abilità, cadresti in ginocchio pregando che ti risparmi la vita!».
«Sul serio?» risponde ironicamente il Guerriero con in volto un sorriso che allarma tutti i suoi compagni, «Sai, mi ha proprio fatto venir voglia di conoscerlo», e detto questo, la sua mano scatta sull’elsa dello Spadone, mentre l’Hobgoblin arretra spaventato, rovesciando una delle molte ciotole.
«Basta così!» interviene Joif, e la sua voce squillante interrompe ogni movimento. Poi, rivolgendosi a Jorsenaur: «Ora, se hai qualcosa da dirci, è il momento. Altrimenti sarà meglio per tutti che ci separiamo qui: noi abbiamo molto da fare, e per voi è meglio non conoscere Brottor Veit infuriato».
«Mi piace il tuo modo di parlare, Umano, ed hai naturalmente ragione. Sedetevi dunque, vi spiegherò ogni cosa».
Spronati dalle parole del compagno, e dalla consapevolezza di non poter sprecare tempo, gli avventurieri prendono posto intorno al tavolo, sedendosi di fronte a Jorsenaur ed ai suoi due compagni; l’arciere fruga per un istante tra le carte sparse sul tavolo, finché estrae una mappa della regione di Pago di Val Torkmannorack. Sulla mappa erano segnati anche Zesterlick, il villaggio druidico di Vamaris, misteriosamente tramutato in pietra con molti dei suoi abitanti mesi fa, e la fortezza Goblin ad ovest delle montagne.
«Per rispondere alle domande del vostro impetuoso compagno, il mio nome è Jorsenaur, come già vi avevo detto, mentre questi sono i miei migliori soldati, Shardrak e Rokdarsh»; i due Hobgoblin lanciano un grugnito quando i loro nomi vengono pronunciati, poi tacciono mentre il loro capo riprende: «siamo partiti dalla fortezza Goblin di Ol'dän-Drakär dodici giorni or sono. La nostra meta era Pago di Val Torkmannorack, che raggiungemmo tre giorni fa...».
«Hai detto Ol’dän-Drakär?!» esclama Veit, interrompendolo, «Ricordo bene quella fortezza. Prima di questo disastro, io, Joif e Dorian incontrammo diverse volte i vostri uomini, durante i nostri viaggi tra Pago e le montagne; e questi furono sempre così cortesi da accoglierci ad armi sguainate!».
L’arciere attende finché Veit non ha terminato di parlare, poi risponde: «Puoi forse biasimarli per questo? Gli Umani da sempre sono nostri nemici, e noi ci difendevamo come potevamo. Ma non è questo il momento di dissotterrare vecchi rancori».
«Ha ragione, Veit, non ha senso pensare a quei giorni lontani proprio ora» interviene Dorian, cercando di controllare i frequenti colpi di tosse. Gli Hobgoblin non battono ciglio. Poi il loro capo prosegue: «Ebbene, arrivammo qui tre giorni fa: la nostra missione era, ed è tuttora, impedire l’imminente invasione delle Terre Dietro l’Angolo da parte dei Demoni».
Veit sbuffa, bofonchiando: «Molto eroico...». Ignorandolo, Dorian domanda: «Cosa vi ha spinto a questa decisione?».
«Una simile minaccia vale per voi quanto per noi. E quest’invasione impedirà certamente la realizzazione dei nostri piani. È questo il motivo che ci spinse ad agire.
«Arrivare fin qui fu facile, ma il graduale deterioramento della natura ci colse di sorpresa: la terra moriva e gli animali impazzivano. Molte fiere abbiamo abbattuto prima di giungere in questi boschi, ed erano tutte più grosse, forti ed aggressive del normale. Ben presto ci siamo resi conto di aver sottovalutato i nostri nemici: la città è ben sorvegliata, ben difesa, e numerose sono le creature dotate di poteri superiori alla maggior parte degli esseri mortali»
. Jorsenaur resta per un po’ in silenzio, quasi a contemplare il loro errore e la loro debolezza, poi prosegue: «Imbatterci in voi fu un puro caso: avevo lasciato il rifugio per controllare le mura ed ottenere qualche informazione che potesse tornarci utile, quando d’un tratto le mie orecchie captarono un rumore d’ali. Pensando ad un nemico, mi nascosi subito, scrutando il cielo per individuarlo, ed in effetti non mi sbagliai: un essere dotato di grandi ali ed unghie come falci fluttuava tra le nuvole, ma non ero io ad averlo condotto lì. Ben presto gli si affiancò un’altra figura, che volava senza l’ausilio di ali, e che maneggiava due grandi spade affilate.
«Lo scontro ebbe inizio, ed io non riuscii a distogliere lo sguardo: il mostro alato sembrava in pieno controllo della situazione, ma d’improvviso il suo avversario mostrò il proprio valore, brandendo le lame gemelle con tale impeto da spezzare le falci dell’avversario, prima di ridurlo a brandelli. Fu quello l’istante in cui iniziai a dubitare delle nostre capacità; decisi allora di seguirlo.
«La figura volava incerta, dirigendosi verso una torre di vedetta che sorge fuori dalle mura, ma prima di raggiungerla planò verso terra, dove s’incontrò con... lui»
sentenzia, puntando un dito affusolato in direzione di Kerwyn. Tutti gli avventurieri tornano con la mente a quel momento, quando il Ladro trovò un misterioso Pugnale astutamente occultato sotto il seggio della dottoressa Virago e di colpo svanì sotto gli occhi attoniti dei compagni, per poi tornare dopo pochi minuti portato in braccio da Xanter. Lo stesso Kerwyn scorre ora con la memoria fino a quel momento, quando il compagno inferse all’immonda cugina il colpo mortale, e successivamente lo raccolse dal bosco ove si era inconsapevolmente teletrasportato. Improvvisamente, una rabbia lo pervade, stritolandogli le viscere senza pietà: lui, Kerwyn Eagleye, maestro d’inganni ed artista di ogni sottigliezza, non si era accorto di essere spiato! Non poteva tollerarlo, e poco importava che a spiarlo fosse una creatura abile nel nascondersi quanto lui.
Ma il racconto di Jorsenaur non è terminato, e questi riprende la parola: «Seguii a quel punto te ed il tuo compagno, e con grande sorpresa constatai che la vostra destinazione era invero la torre di vedetta. Noi evitammo quella torre, poiché percepimmo al suo interno un inquietante potere, ma voi siete riusciti a conquistarla in breve tempo e senza destare l’attenzione dei Demoni. Devo complimentarmi con voi per un’impresa di tale portata.
«In quel momento pensai che avervi come alleati sarebbe stato molto... conveniente... per tutti noi. Sfortunatamente il giorno dopo accadde qualcosa di molto insolito: un cupo fulmine proruppe dal cielo, come la saetta che scocca dall’arco d’una divinità, e s’infranse sulla cima della torre. Poco tempo dopo vi osservammo partire, mentre tutti i miei piani del giorno precedente sfumavano come la nebbia di un mattino primaverile. Eppure sentivo nel mio cuore che sareste tornati, prima o poi; e non ho atteso molto, a quanto pare.
«Qualche ora fa Rokdarsh assistette nuovamente ad un lampo di nera luce che piovve dal cielo, ed io partii immediatamente per giungere nel luogo dell’impatto, sicuro che vi avrei trovati lì»
.
L’arciere tace, dando modo ai suoi ospiti di assimilare le numerose informazioni appena ricevute, ma poi la sua voce risuona nuovamente nella stanza, ma stavolta con intonazione interrogativa: «Ma... vedo che tra voi nessuno possiede due lame gemelle. Dov’è ora il vostro compagno? È forse rimasto vittima di quei misteriosi fulmini?».
«Mi dispiace» risponde Dorian, «la sua sorte non è più legata alla nostra, e non ti è dato conoscerla».
«Molto bene, allora» replica l’Hobgoblin a denti stretti, incapace di mascherare sia la delusione che l’irritazione; «ora però dovrete prendere una decisione: accettate la nostra offerta di unire le nostre forze per affrontare ed abbattere il comune nemico?».
I sei avventurieri si guardano intensamente negli occhi, lanciandosi sguardi che sono ben più eloquenti delle parole; infine Joif risponde: «La vostra offerta è molto interessante, ma prima di darvi una risposta vorremmo consultarci con calma, per essere sicuri di avere tutti preso la giusta decisione».
«Naturalmente. Siete liberi di appartarvi e prendere la decisione che più si addice alle vostre idee. Vi attenderemo qui fra un’ora, per conoscere l’esito della vostra consulta».
Gli avventurieri varcano quindi la soglia che li riconduce nella radura circondata da secchi alberi, tra i quali si addentrano in cerca di un posto ove disquisire tranquillamente. Giunti nel fitto del sottobosco si accertano che nessuno li osservi o li oda, quindi si accomodano in circolo sull’erba grigia ed iniziano a discutere.
I pareri sono molto differenti gli uni dagli altri, e molti di loro completamente opposti; persino Wally, che solitamente resta in silenzio per proprio conto, ora dice la sua. Molto tempo passa, mentre gli avventurieri continuano ad esporre motivi per accettare o meno l’aiuto dei nuovi individui, ed una decisione sembra impossibile da prendere senza causare urti e malcontenti all’interno del gruppo.
«Maledizione, l’ora è quasi passata ed ancora non abbiamo preso la nostra decisione» mormora Inejhas, osservando il cielo ingombro di nubi fangose, «sarà meglio pensarci su molto bene, non vorrei dover mettere ai voti una decisione del genere».
«Io avrei qualcosa da dire» interviene Joif, prendendo la parola, «stando a quello che ho imparato sui Goblin durante i miei lunghi viaggi, so che essi possono essere creature infide e malvagie, ma pochi di loro sono disonesti o traditori. La maggior parte di essi è fedele alla parola data, specialmente se nei confronti di persone che stima; inoltre, se anche fossero dei traditori, dovrebbero prima guadagnarsi la nostra fiducia, quindi almeno per qualche giorno ci saranno alleati». Tace un istante, per dare la possibilità ai compagni di controbattere, poi conclude: «Infine, se anche decidessero di combatterci, non dobbiamo dimenticare che siamo sei coraggiosi avventurieri che hanno affrontato difficoltà d’ogni sorta, uscendone sempre vincitori. Loro? loro non sono altro che i guerrieri migliori di una fortezza di Goblin! Noi siamo eroi!».
«Sì!!» urlano tutti gli altri in coro, spronati dalle parole del loro Bardo, quindi tutti insieme lasciano il luogo in direzione della radura. Giunti sul posto, Joif si dirige nel punto in cui l’uscio del rifugio si mimetizza con gli altri alberi e batte tre colpi decisi sulla superficie. Quando la porta si apre, innanzi a lui si trovano i tre Hobgoblin, con Jorsenaur al centro che domanda: «Ebbene? Qual è dunque la vostra decisione?».
«La nostra decisione è positiva» gli risponde il Bardo, «il nostro gruppo si unirà al vostro per affrontare ed abbattere il comune nemico».
«Sono molto lieto della vostra scelta, valorosi guerrieri! Ora sarà bene che vi accomodiate nuovamente all’interno del nostro rifugio: vi sono molti dettagli da discutere insieme...».


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:13
 
Top
view post Posted on 19/7/2009, 20:43
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


Bah, Axmal poco ha meritato per interpretare quel personaggio... <_<
 
Top
view post Posted on 10/9/2009, 15:02

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Ormai pensavate di esservene liberati, vero? Beh, spiacente di avervi deluso, ma Le Terre Dietro l'Angolo moriranno con me (e ho intenzione di campare ancora a lungo :D ).

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 20 - Il gruppo si scioglie
L
a foresta di Pago di Val Torkmannorack: un tempo verde distesa di alti alberi frondosi. Ora, tristo ammasso di secca legna avvelenata da un male insanabile. I morti rami sono ora aguzzi e spinosi, e s’intricano tra loro come per impedire l’accesso ad estranei; sul suolo, il sottobosco è occupato da erba marcia e foglie secche, rami, arbusti e radici scoperte, che rendono la marcia pressoché impossibile. Inoltre quest’inospitale distesa legnosa è da tempo rifugio di creature contaminate, rese più forti ed aggressive dalla vicinanza al male. Primi tra tutti, i Treant. Ma nonostante tutto, in un’angusta radura al centro degli alberi sorge una costruzione perfettamente immersa nell’ambiente che la circonda, riparo di creature che tentano di opporsi al male che inesorabilmente dilaga in tutto il mondo.
Brottor Veit si alza improvvisamente dal suo sgabello, lasciando il tavolo ove i suoi amici da ore discutevano, ed avvicinandosi ad una delle piccole finestre. Guardando fuori, scorge tra le cupe nubi un angolo di cielo coperto di stelle scintillanti, e tutt’a un tratto si scopre a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro domani; poi nella sua mente affiora il volto spigoloso di Xanter. “Chissà cosa starà facendo in questo momento...” si domanda il Guerriero: era ormai passato poco più di un giorno da quando il loro amico Elfo si era separato da loro, eppure pareva passato molto più tempo. D’altronde, molte cose erano già accadute, e molte altre sarebbero accadute domani...
«Veit» la voce del principe Inejhas lo riporta improvvisamente alla realtà, facendolo trasalire; «la riunione è finita, è tempo di dormire. Domani sarà una giornata molto dura, e probabilmente affronteremo diversi scontri con i nemici, dunque è bene recuperare le forze».
Il Guerriero volge un ultimo sguardo al di là del vetro della finestra, intravedendo questa volta le mura della città; ad un tratto sguaina la sua lama e la osserva intensamente, contemplandola immerso in pensieri profondi e duri. «Sì» risponde alfine, riponendola con delicatezza, «sarà meglio per tutti».
Gli avventurieri, insieme con i loro nuovi alleati, trascorrono la notte nel rifugio, sistemandosi sulle varie brande. La loro stanchezza è palese, e ben presto tutti piombano in un sonno profondo e tranquillo; ad un certo punto, però, una delle figure lascia la branda e si aggira con passi felpati attraverso la stanza. Giunto alla porta, la spalanca e lascia il covo, immergendosi nel freddo cupo della foresta notturna.
Uscito dal rifugio, Joif, colto da un nuovo attacco di dissenteria causatogli dalla maledizione di Dorian, corre nel folto degli alberi in cerca di un luogo appartato; mentre si aggira nella zona però, un improvviso spostamento d’aria lo coglie di sorpresa, e non riesce in alcun modo a trattenere un gemito mentre un enorme Treant compare innanzi a lui. I roventi occhi scarlatti della creatura lo fissano per un istante, durante il quale Joif non osa nemmeno respirare, poi uno dei rami fende l’aria con sordo rumore: il tonfo è sonoro, ed il Bardo viene scaraventato diversi passi indietro, lanciando un acuto urlo di dolore. Nel rifugio, i suoi compagni odono il grido malgrado la stanchezza, e riconosciuta la voce scattano tutti in piedi, allarmati; al primo grido però, succede un secondo, poi un rantolo, e prima che alcuno di essi possa fare qualcosa, il silenzio torna a fare da padrone. Per un momento restano tutti immobili, gli occhi fissi nella direzione da cui provenivano i lamenti, poi Dorian crolla in ginocchio reggendosi la testa fra le mani, scosso da un dolore lancinante; gli avventurieri non hanno idea di cosa fare, se correre fuori a cercare Joif, o prestare soccorso a Dorian, quand’ecco che anche Inejhas viene colto dallo stesso malore. Ormai la costernazione è elevatissima, e Wally e Veit corrono in aiuto dei due guaritori, mentre Kerwyn varca la porta in cerca del Bardo disperso; quando rientra, tra le mani stringe il corpo inerte del compagno, il braccio sinistro piegato in maniera innaturale ed il bel volto solcato da graffi e sporco di fango. Ad un’occhiata interrogativa del Guerriero, Kerwyn risponde scuotendo il capo.
Dorian ed Inejhas sono stati risistemanti sulle loro brande, ove sembra che il dolore si sia attenuato: il loro respiro è tuttavia ancora affannoso, come dopo una lunga corsa, e le loro forze sono completamente dissipate.
«Come sta Joif?» domanda Dorian, con un filo di voce. Anche a questi, il Ladro risponde con un cenno di diniego, poi abbassa lo sguardo: «Voi come vi sentite?».
«Se non sapessi già cosa mi è capitato, ti direi di essere prossimo alla fine» replica il sacerdote, «ma purtroppo lo so, e qualsiasi altra cosa sarebbe meglio».
I compagni rimangono sorpresi e turbati dalle tristi parole poc’anzi pronunciate, ma la curiosità di Kerwyn lo spinge ad insistere: «È forse un effetto della maledizione? Il fatto che abbia colpito anche Inejhas può significare che si sta trasmettendo attraverso di noi?».
«No, no, niente del genere» lo tranquillizza subito, «la maledizione non ha nulla a che vedere con ciò che è successo. Inoltre, almeno per il momento, voi non avete nulla da temere»; s’interrompe, in preda a colpi di tosse che maggiormente preoccupano gli altri, poi riprende: «Io ed il principe ci troviamo in queste condizioni per il volere degli dei».
La notizia lascia tutti i presenti sgomenti: nessuno di loro riesce a comprendere quale parte possano aver avuto gli dei in questa vicenda. Veit raggiunge il capezzale del compagno, poi con la sua forte voce prende la parola: «Che significa questo, Dorian? Spiegati».
Ma è il principe a concludere al suo posto: «A quanto pare, le nostre divinità ci ritengono in parte responsabili per la tragica fine di Joif. Le sofferenze che stiamo patendo ora, sono la loro punizione per aver contravvenuto ai precetti morali da loro impartiti. Entro pochi minuti il dolore si placherà, ma purtroppo sia io che Dorian siamo stati privati di tutti i poteri che ci derivavano dalle divine influenze».
«Per noi questo è il massimo della vergogna» mormora Dorian, quasi sull’orlo delle lacrime.
Non potendo fare altro, gli avventurieri riprendono posto nelle loro brande e si riaddormentano; ma se finora la notte era trascorsa in pace ed in tranquillità, sono ben pochi i minuti che ciascuno di loro riesce a dedicare al sonno: l’aria era diventata molto densa e pesante, e la tensione era quasi palpabile. All’alba, nessuno di loro necessita di essere svegliato, essendo tutti desti anche se molto stanchi.
Dorian ed Inejhas si ritirano in un cantuccio appartato ove recitano le loro quotidiane preghiere, mentre gli altri trascorrono il tempo consumando una semplice colazione e discutendo sottovoce. Veit e Kerwyn sono l’uno di fronte all’altro, e di tanto in tanto lanciano occhiate in direzione dei due incantatori: Inejhas sembra essersi ripreso, e conserva la sua regalità malgrado l’ira divina. Dorian d’altro canto è ancora debole, forse soprattutto per via della maledizione, che non accenna ad allentare la sua morsa.
«Cosa pensi che dovremmo fare con loro?» domanda Kerwyn all’amico, «Sono entrambi debilitati, potrebbero rallentarci».
«Non dire certe cose» lo ammonisce il Guerriero, «sono i nostri compagni, non dimenticarlo!».
«Non l’ho dimenticato, ma penso a ciò che potrebbe succeder loro se osassimo violare le mura di Pago. Non sarebbero in grado di sostenere uno scontro con i Demoni nelle loro condizioni, e finirebbero per mettere in pericolo loro stessi e noi, oltre alla riuscita dell’operazione».
«Purtroppo hai ragione, ma cosa dovremmo fare? Lasciarli qui senza protezione? E se qualcuno scoprisse il rifugio?». Kerwyn cerca di pensare ad una soluzione che possa garantire la sicurezza dei compagni e nel contempo la segretezza della loro missione, ma Dorian interrompe i suoi pensieri, comparendo alle sue spalle con un volto funereo: «Oh, Dorian» lo saluta il Ladro, «spero che tu stia meglio oggi. Stavamo discutendo riguardo la vostra partecipazione alla missione: non penso che tu ed il principe dovreste...».
«Non occorre che tu dica altro» lo interrompe il sacerdote, «conosco la situazione e so di non poter essere d’alcun aiuto nelle mie attuali condizioni. È per questo motivo che ho deciso di tornare a Norbat: mi recherò al tempio che fu la mia casa, e lì implorerò il perdono di Kord tramite il maestro Kergorbart. Espiare le mie colpe è ora l’impegno più importante che devo portare a termine».
I compagni lo fissano per qualche tempo, e lui si accorge che non sono affatto sorpresi: entrambi capiscono l’importanza della scelta di Dorian, ed il peso che grava sulle sue spalle a seguito di una decisione sì dura.
«Quando partirai?» domanda Veit. Il Chierico non risponde subito, concedendosi qualche istante di riflessione, poi: «Purtroppo sarà un lungo viaggio, e la marcia sarà perigliosa e stancante. Sarebbe duro anche senza l’effetto della maledizione. Eppure, prima partirò, prima potrò tornare qui e riunirmi a voi. Penso che sia mio dovere intraprendere questo nuovo viaggio immediatamente, prima che altri imprevisti complichino ulteriormente la situazione.
«Porterò con me Joif, e gli restituirò la vita non appena mi sarà stato concesso il perdono. Se questo non dovesse accadere, provvederò ugualmente a far sì che torni indietro dai morti, e concluda i suoi giorni nel modo che preferisce»
.
Kerwyn sposta lo sguardo oltre la spalla corazzata del Chierico, osservando il principe intento a consumare la propria colazione seduto da solo al tavolo, un’ombra malinconica che gli oscura il volto, tutta la sua imponenza e la sua maestosità svanite nel nulla. «Lui cosa farà?» domanda a Dorian, ma in cuor suo conosce già la risposta. Il Chierico l’osserva a sua volta, per qualche istante, contemplando sconsolato gli effetti dell’ira divina, quindi risponde: «Non abbiamo ancora avuto modo di discutere quest’argomento, ma immagino che anch’egli consideri prioritario ottenere il perdono del proprio dio: esattamente come la mia, la sua vita è consacrata ad una divinità, e qualsiasi sua azione verrà giudicata. Ciò che ci è capitato altro non è che un ammonimento, un mezzo che le divinità utilizzano per dirci che abbiamo smarrito la retta via, e che stiamo brancolando nel buio, lontano dalla nostra meta»; s’interrompe, socchiudendo gli occhi e soffocando una fitta di dolore al fianco, ma sul suo volto si affaccia un limpido sorriso, non di una persona che soffre, ma di un uomo il cui destino è stato appena rivelato, «sta a noi ora ritrovare la strada e tornare a percorrerla nel giusto verso».
Poco dopo, i cinque compagni varcano la soglia invisibile che protegge un caldo rifugio, pestando coi loro stivali le foglie secche e gli arbusti sparsi nell’angusta radura. Un piccolo spiraglio si apre ad un tratto tra le fosche nubi che continuamente opprimono il limpido cielo di Pago, ed un audace raggio del fiero astro balena per un attimo sui loro volti: molto tempo era passato da quando avevano contemplato il Sole per l’ultima volta, al sicuro tra le solide mura di Norbat. In quel mentre, alle loro spalle, anche gli Hobgoblin lasciano il loro rifugio e, quasi fosse un segno nefasto, le nuvole voraci si ricongiungono, fagocitando il flebile raggio di tiepida luce che aveva, anche se per poco, scaldato gli animi degli avventurieri.
Dopo essersi assicurati che tutto fosse in ordine, Dorian e Inejhas si avvicinano ai loro compagni: vigorosi abbracci e poche parole caratterizzano quei momenti, tutti più che sicuri che ben presto si sarebbero ricongiunti. Mentre il Paladino saluta Wally, Dorian si avvicina a Jorsenaur e, prendendolo in disparte, gli dice con voce dura: «Saremo presto di ritorno, e vi daremo manforte al meglio delle nostre capacità. So che l’operazione che state per intraprendere è dura e pericolosa, e che ci sono molte probabilità di fallimento e di morte, ma ti avverto: se dovessi scoprire che uno o più dei miei amici sono morti per vostra mano o per vostra negligenza, non mi fermerò finché non vi avrò trovati e puniti come meritate».
L’Hobgoblin lo fissa a lungo, un’aria all’unisono divertita ed impressionata sul volto segnato, quindi dischiude le labbra, dicendo: «Hai la mia parola che né io né i miei uomini oseremo sollevare le armi per primi contro i tuoi amici. Ma se dovessero trovarsi nei guai, dovranno cavarsene fuori da soli: non compare, fra le qualità dei Goblin, quella di salvare vite».
«Molto bene» conclude Dorian, «in questo caso, non ho altro da aggiungere... eccetto, forse... buona fortuna». Il guanto corazzato del Chierico si tende, fino ad incontrare l’artiglio dell’arciere: i due si scambiano una poderosa stretta di mano, gli occhi colmi di stima reciproca, quindi si congedano senza aggiungere un’altra parola.
Kerwyn e Veit osservano i loro compagni allontanarsi da loro, in direzione delle piane sconfinate di Norbat: altri tre eroi avevano lasciato il gruppo...
I due sacerdoti guerrieri camminavano ormai da alcune ore, risparmiando il fiato per la marcia. La morsa che la maledizione esercitava su Dorian si era affievolita con l’allontanamento dalle mura, permettendogli di mantenere un’andatura regolare. Attorno a loro, lo spettacolo è sempre desolato ed inquietante; tuttavia, per fortuna o per destino, nessun essere della zona sbarra la loro strada. Il Chierico scruta frequentemente il suo compagno durante la marcia: questi avanza mettendo un piede avanti all’altro come se fosse mosso da qualche sortilegio, il suo volto rimane impassibile durante tutto il tragitto, e non un suono proviene dalle sue labbra. Dorian riesce quasi a palpare l’immane determinazione che spinge il principe verso Norbat, e si rende conto di essere mosso dal medesimo desiderio di porre rimedio agli errori del passato.
Dopo altre due ore di marcia, intervallate da una breve pausa per pasteggiare, i pellegrini notano con letizia che il paesaggio intorno a loro comincia a riacquistare il solito aspetto: le nubi fangose sono ormai sorpassate, ed il cielo è macchiato qui e là da allegre nuvolette candide, incredibilmente simili a batuffoli d’ovatta; il disco ardente irradia maestoso tutte le terre circostanti, ed il verde dei prati e delle ricche fronde trasmette una sensazione di pace e serenità. Davanti a quello spettacolo, Dorian si sente rinvigorito, come se la maledizione fosse stata spazzata via dalla luce solare, e avverte il desiderio di gettarsi in terra e respirare la pura aria della natura, fino a che il sonno non prenda il sopravvento. Ma Inejhas sembra incurante della meraviglia che li circonda, e continua ad avanzare senza neanche guardarsi intorno, seguito dal sacerdote.
Ad un tratto però, un grido squarcia il silenzio del luogo, cogliendo di sorpresa i due compagni: per Dorian è come essere bruscamente destati da un sonno profondo, ed impiega qualche istante a rendersi conto di cosa sta accadendo. Nel frattempo il grido si ripete, più disperato di prima; il principe non esita un altro istante, ed imbracciate le fulgide armi si getta in direzione del richiamo. Il Chierico si affretta a raggiungerlo, cercando di allontanare la fatica che ora improvvisamente gli era piombata addosso. I due si aprono la strada attraverso un boschetto, mentre la voce urla per la terza volta, ed appena usciti si guardano attorno, i muscoli tesi pronti a scattare: innanzi a loro, alla base della collinetta sulla quale si trovavano, una fanciulla corre a perdifiato, inerpicandosi sulle alture spinta dalla disperazione. Gli abiti succinti lasciano scoperta gran parte del suo corpo, che appare tuttavia di colore scuro e con numerose venature, come se fosse rivestito da corteccia; anche i lunghi capelli ribelli ricordano le fronde di una pianta, aumentando la sua somiglianza con un arboscello.
Alle sue spalle, due terribili figure scure galoppano, guadagnando terreno con celerità: le forme tipicamente equine, anche se molto più grosse e massicce, si fondono alla base del collo con dei torsi umani dotati di forti braccia e di mani che brandiscono mortifere lance. Dorian li avrebbe chiamati Centauri, se non fosse stato per un particolare: la carne dalle loro ossa era stata completamente asportata, e gli scheletri ingrigiti dal male erano liberi di vagare, dotati di volontà propria; eppure, la loro era vita completa, seppur malvagia, non una semplice imitazione, come per i Non Morti. Queste creature dovevano quindi appartenere alle schiere demoniache che infestavano Pago. “Incredibile” pensava Dorian sconvolto, osservando le figure pregne di male che galoppavano davanti ai suoi occhi, “sono già arrivati fin qui! La loro espansione sembra essere davvero inarrestabile...”.
Inejhas non esita nemmeno per un istante, e con un urlo di battaglia si scaglia a testa bassa verso i due mostri, i quali arrestano la loro carica e si voltano a fronteggiare il nuovo nemico; alle sue spalle un enorme scudo si erge, ed anche il Chierico di Kord avanza deciso verso i nemici. La carica del principe è rabbiosa ed il fendente colpisce il Centauro più vicino con immane potenza. Questi però non sembra neanche lontanamente ferito, e risponde all’assalto con pari furore.
Il suo compagno si lancia al galoppo contro il secondo avversario, la lancia acuminata che scintilla al sole mentre la carica la sospinge verso Dorian; questi però manovra con attenzione ed abilità, e leva il suo imponente baluardo in tempo per deviare il colpo, quasi disarmando il nemico.
«Dorian, questi empi esseri appartengono alle schiere demoniache!» tuona Inejhas, e nel mentre rinfodera lo scudo e la spada, estraendo al loro posto un grande spadone simile a quello di Veit, ma dalla lama più scura e minacciosa. «Conosci il loro punto debole! Attaccali col Ferro Freddo!»; lo spadone ricade pesantemente sul braccio del Centauro, tranciandolo di netto come fosse aria. La creatura urla e si contorce in preda ad indicibile dolore, mentre dalle due estremità recise dell’arto scheletrico si levano neri fumi soffocanti.
Il sacerdote guerriero di Kord conosceva bene la debolezza delle truppe dell’Abisso; tuttavia all’inizio del suo viaggio mai avrebbe pensato di trovarsi faccia a faccia con un’immensa orda demoniaca che minacciava di sottomettere l’intero continente, sprofondando migliaia di vite nell’oblio. Mai avrebbe pensato di aver bisogno di una lama forgiata nel mitico Ferro Freddo dei Nani, flagello demoniaco.
Ma ora non aveva il tempo per ripensare alle scelte del passato: il suo avversario gli era ancora addosso, e nonostante sia sempre stato un combattente valente quanto il principe, la morsa della maledizione ora lo attanagliava e lo soffocava. Cercando di ignorarla e di concentrarsi sulla lotta, il Chierico leva nuovamente il suo scudo a ripararlo da un nuovo colpo portato dal Centauro, e risponde deciso, inferendo la demoniaca alterazione con la sua solida mazza: il colpo è molto pesante, ed il mostro lancia un urlo dolorante. Subito dopo però i suoi occhi iniettati di male lanciano all’avversario tutto l’odio che possiedono, e nuovamente la creatura fa roteare la sua lancia: il legno devia la mazza lontano dal corpo lasciando il petto privo di protezione, e prima che il braccio destro possa portare lo scudo tra la lancia ed il torace, la punta scatta e penetra. Dorian geme ed indietreggia di qualche passo, cadendo poi in ginocchio.
«Dorian!!» urla Inejhas, fissando il compagno con occhi sbarrati. All’improvviso però questi alza la testa, e sul suo volto è dipinto un ghigno divertito. «Dovrai colpirmi molto più forte» spiega al suo nemico, «se vuoi sperare anche solo di farmi un graffio. Non sottovalutare la mia corazza!».
I due duelli proseguono a ritmo serrato, con affondi e fendenti che si susseguono frenetici; il rumore della battaglia è ormai un folle rintocco ritmico che scandisce quelli che potrebbero essere gli ultimi istanti di vita dei quattro combattenti. La fanciulla che pochi attimi prima fuggiva in preda ai singhiozzi ora giace in terra, devastata dalla paura ma incapace di fuggire; e resta lì in terra, paralizzata, a fissare i duelli che decideranno le sorti della sua vita.
Un fiotto di adrenalina lo assale, seguito quasi istantaneamente dal dolore: si guarda il braccio e vede il sangue che scorre copioso dalla ferita causata dalla lancia. La punta è ancora dentro, ed il dolore non accenna a diminuire; le forze lo abbandonano, si sente svenire... Sarebbe così facile arrendersi e smettere di soffrire...
“No!” il fiero principe Inejhas si costringe a rialzarsi. “Non solo la mia vita è legata a questo scontro. Se dovessi morire ora, Dorian sarebbe attaccato da due creature, e nella sua condizione avrebbe la peggio; poi quella povera fanciulla rimarrebbe in balia di questi mostri senz’anima. Non posso arrendermi e condannarli!”.
Le sue dita rinsaldano la presa sull’elsa ingioiellata, e con una torsione del corpo il principe riesce a spezzare l’asta del nemico, lasciandolo sorpreso e disarmato. Poi, con un urlo furioso si lancia in avanti, conficcando per intero la lama nel corpo del centauro: la creatura si dimena e si contorce, mentre il Ferro Freddo nelle sue carni gli devasta le viscere, ma la sua agonia ha breve durata prima di accasciarsi in terra e svanire in una nuvola di putrido fumo scuro. Inejhas riprende fiato, si strappa la lancia ancora conficcata nel suo braccio ed istintivamente sfiora la ferita con le dita, intenzionato a guarirla; ma subito abbassa lo sguardo al suolo, colmo di odio verso se stesso per aver deluso in questo modo Heironeous. Ci sarebbe riuscito. Si sarebbe guadagnato il perdono espiando le sue colpe.
Dorian è quasi esausto, ma non accenna ad abbassare la guardia: il suo nemico ha cominciato a portare attacchi sempre più rapidi e furiosi, ed il Chierico non riesce più a raccogliere le forze necessarie per rispondere. “Se non altro” pensa, “finora sono riuscito ad impedire che mi colpisse. Il mio scudo e la mia armatura si sono rivelati ancora una volta dei validi strumenti di difesa... ma per quanto ancora potrò resistere?”.
Ad un tratto il nemico si scopre subito dopo un colpo di lancia deviato dallo scudo; Dorian coglie l’occasione al volo, puntando l’esito finale del duello su quest’unico colpo che l’avversario gli ha concesso. Purtroppo però, stavolta la fortuna non arride al Chierico, ed un’altra fitta di dolore lo coglie proprio mentre sta per colpire: la forza viene a mancargli, e l’impeto dell’assalto gli fa perdere l’equilibrio. La dura terra arresta la sua caduta, ma la sua schiena è totalmente in balia dell’acuminata arma del centauro, che ora può trafiggerlo con facilità. Dorian riesce a voltarsi: avrebbe guardato la morte in volto, mentre questa lo falciava. Tuttavia la morte non arrivò quel giorno, poiché un cupo spadone calò sul dorso equino del centauro, strappandogli un lungo gemito.
«Voltati ed affronta me, lurido scarto degli Abissi!» risuona la voce del principe, e la sua sagoma si frappone tra il centauro e la sua preda, poi la lama lampeggia ancora. Un altro tonfo cupo ed il centauro urla nuovamente, ma Inejhas non prova alcuna pietà per creature che hanno eletto a loro motivo di esistenza la più pura delle malignità. I colpi si susseguono, ed il centauro sembra privo di ogni speranza, finché, con un ultimo grido disperato balza al galoppo e si dà alla fuga. I due compagni lo fissano mentre si allontana verso la città maledetta: entrambi vorrebbero inseguirlo ed infliggergli il colpo decisivo, ma sanno di avere altre priorità; forse un giorno le loro strade si sarebbero nuovamente incrociate.
Raggiunta la giovane, i due l’aiutano a rialzarsi, rassicurandola e spiegandole che il pericolo era oramai passato. Questa, riacquistato un po’ di coraggio, mormora qualche parola di riconoscenza, ma è ancora troppo scossa; Dorian cerca di tranquillizzarla ulteriormente, e le domanda: «Cosa ci fai da queste parti? È una zona pericolosa, nessuno dovrebbe attraversarla incautamente».
«Questa è la mia casa» risponde la Driade, «è qui che ho sempre abitato, ma all’improvviso quei mostri sono emersi dai boschi e hanno cominciato ad inseguirmi... se non ci foste stati voi...».
«Non temere, nel disegno divino la tua fine non era ancora giunta» esordisce Inejhas, «altrimenti non ci avrebbero fatto capitare da queste parti in questo preciso istante».
La donna alza gli occhi a fissarlo: «Cosa vi spinge da queste parti?».
«Siamo in marcia per raggiungere la città di Norbat, dove affari urgenti ci spingono a recarci. Purtroppo sarà una lunga marcia...».
Sulle labbra della Driade appare, con sorpresa di entrambi, un sorriso indecifrabile, simile ad un ghigno; nessuno dei due sa cosa dire, entrambi messi a disagio dall’improvviso cambiamento d’umore della fanciulla, quindi attendono in silenzio che questa si spieghi. Ella però non sembra intenzionata a proferire un’altra parola, limitandosi a fissarli divertita; infine Dorian non può più aspettare, e le domanda: «Cosa succede? Perché sorridi?».
«Sapete...» risponde lei, il ghigno sulle sue labbra sempre più largo, «sono davvero convinta che siano stati gli dei a permettere il nostro incontro, oggi: penso di potervi condurre innanzi alle porte di Norbat in pochi minuti».

Fine della Seconda Parte




Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:13
 
Top
view post Posted on 12/9/2009, 14:53
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


Per le bandiere usa questo:
CODICE
[IMG]http://img231.imageshack.us/img231/74/tricolore19ss9yq.gif[/IMG]

ovvero:

image

 
Top
view post Posted on 13/9/2009, 00:53

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Ehi ehi, grazie molte!

Del capitolo che mi dici, invece?
 
Top
view post Posted on 2/12/2009, 12:47

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Ehilà, quanto tempo è passato dall'ultima volta...
Comunque ce l'ho fatta, godetevi l'inizio della Quinta Parte!


Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 21 - I tre principi
L
a figura incappucciata si guardò intorno: la malvagità e la morte che lo circondavano sembrava volessero schiacciarlo in una morsa empia ed inevitabile. Egli però non si lasciò sopraffare, affrontando e respingendo quella sensazione: la sua missione era molto importante, e non avrebbe permesso alle sue emozioni di comprometterla.
Dalla larga tesa del cappuccio, i suoi occhi scintillanti tornarono a fissarsi sull’imponente muraglia che si stagliava di fronte a lui, percorrendola nella sua interezza; “Deve esserci un varco da qualche parte, o non sarebbe stato possibile per tutte queste creature far entrare ed uscire truppe e merci” si diceva, mentre dal folto del bosco cominciava ad avvicinarsi. Il suo moto era fluido ed armonico, i suoi passi rapidi e cadenzati, la sua velocità era impressionante, eppure non un solo rumore, o una semplice impronta ne tradivano la presenza: la figura incappucciata scivolava nella foresta come un rivolo d’acqua in un letto di ghiaccio.
A pochi metri dalla barriera, le orecchie puntute si tesero, captando rumori per chiunque altro impercettibili; l’Elfo sapeva di avere ancora tempo, prima che i responsabili del frastuono lo raggiungessero, quindi mosse altri passi, seguendo lo scorrere della muraglia. Alla fine i rumori si fecero vicini, e sotto la cupa cappa ogni muscolo s’irrigidì, immobilizzando completamente la creatura ammantata al sicuro dietro gli arbusti; i suoi occhi osservarono la squadriglia di Derro, tutti coperti da corazze ferrate ed armati di picche, che marciava in maniera caotica e disordinata, nel suo solito giro di ronda attorno alle mura. Nel suo cuore si faceva largo un sentimento ostile nei confronti di quelle piccole ma spietate creature, deboli eppur capaci di trovare alleati forti che sostengano il loro sadismo; avrebbe potuto balzare fuori dal suo nascondiglio, brandire le sue spade, e nel giro di dieci secondi il plotone sarebbe stato annientato, e la metà dei suoi componenti non avrebbe nemmeno saputo in quale maniera. Ma l’importanza della missione, ed un inaspettato senso di pietà per quelle creature lo placarono: così rimase immobile ad osservarli, mentre ignari del pericolo scampato i piccoli nani si allontanavano verso l’ignoto; una strana sensazione di sollievo lo avvolse, rallentando il suo impercettibile respiro, e l’Elfo si scoprì a sognare; poi si voltò e proseguì in direzione opposta.
Scrutando con attenzione, riuscì a discernere tra gli alberi la cima della torre di vedetta: i ricordi lo assalirono, mentre si fermava ad osservarla rapito, a contemplarla con occhi vitrei. A fatica si scrollò di dosso quelle sensazioni, riflettendo e ricordando di non aver mai controllato il lato posteriore della fortificazione; sicuro dunque di essere sulla strada giusta, continuò ad avanzare nella foresta come un’ombra intangibile.
Le mura seguivano un andamento curvilineo, privo di spigoli, perciò era difficile capire l’esatta posizione in mancanza di altri punti di riferimento. Di tanto in tanto l’Elfo alzava lo sguardo al cielo, contemplando le nubi fangose che lo sovrastavano minacciose; d’un tratto desiderò che una pioggia torrenziale lo sommergesse: da molto tempo non provava la sensazione dell’acqua piovana sul viso, e quel cielo martoriato gli procurava angoscia e nostalgia. Trascurando la furtività, affrettò il passo, attraversando il sottobosco a grandi falcate. All’improvviso però si fermò. Gli occhi s’illuminarono, e sul suo viso si dipinse un sorriso vittorioso, mentre dalla coltre di arbusti osservava l’ingresso principale di Pago di Val Torkmannorack, le porte spalancate ed una breccia nella barriera.
«A quanto pare la mia supposizione si è rivelata corretta» disse la raminga figura tornando seria, le mani ad accarezzare le else ai suoi fianchi, «ma adesso è il momento di dare inizio all’ultima battaglia».
Di fianco alla porta, una creatura in armatura, visibilmente corrotta dal potere demoniaco, si guardava intorno, lo sguardo truce saettando a destra e a manca in costante vigilanza; ad un tratto i suoi occhi captarono una sorta di riflesso provenire dagli sterpi poco più in là. Stringendo la lancia con le sue mani artigliate, l’immondo essere si avvicinò circospetto, cercando di individuare la fonte di quell’evento insolito. I suoi occhi vermigli ne incrociarono per un attimo altri due, e si spalancarono; poi, nel giro di un istante, due lame gemelle vennero sfoderate con un bagliore innaturale, e Xanter “Alopex” Saverem balzò fuori dal suo nascondiglio in un turbine di vento e di capelli, atterrando alle spalle della creatura. Mentre le spade venivano riposte nei foderi, l’immondo servitore dei demoni cadde in pezzi, il suo volto ancora scosso dalla sorpresa di ciò che i suoi occhi avevano appena scorto.
«Già... questa sarà proprio l’ultima battaglia». Sistemandosi il cappuccio sulla testa, il Ranger si rialzò, e mentre il vento tentava di strappargli di dosso il mantello varcò la soglia di Pago di Val Torkmannorack.

Quella mattina, la grande spada sembrava più pesante che mai. Le spalle si curvavano esauste sotto il suo peso, eppure il suo proprietario non ricordava di aver mai dovuto faticare per brandirla, tantomeno per trasportarla. Ad ogni passo sentiva il suo respiro pesante, e la tracolla di cuoio gli opprimeva il petto; la sua fronte si stava imperlando di sudore, e le gambe cominciavano a cedere mentre camminava. Il gigantesco Guerriero non riusciva più a sopportare quella sensazione, e si fermò di colpo, liberandosi della tracolla ed appoggiandosi ad un albero; eppure la sensazione non svanì né si attenuò, e le forze sembravano abbandonare l’atletico corpo dello spadaccino, che si sentiva debole ed invecchiato all’improvviso.
«Veit! Veit! Tirati su, amico mio, non possiamo permetterci un solo istante di debolezza in questa valle maledetta, e meno che mai adesso» Kerwyn Eagleye si affrettò a soccorrere il suo compagno, cercando di tirarlo su e recuperando il suo spadone, malamente gettato tra gli arbusti.
«Siamo rimasti soli, Kerwyn... siamo rimasti solo noi...». Kerwyn lo aiutò a sollevarsi, mentre il resto del gruppo si fermava ad osservarli.
«Sembra che questo bosco abbia il potere di amplificare le sensazioni negative». spiegò con voce gutturale uno degli Hobgoblin, tornando indietro per aiutarli; «tirati su, guerriero, tra breve avremo un gran bisogno delle tue abilità».
Jorsenaur, arciere infallibile e comandante della spedizione degli Hobgoblin raggiunse i due avventurieri, e senza sforzo sollevò la mole del Guerriero, rimettendolo in piedi.
«Non è da te arrenderti così... e poi hai promesso di mostrarci come maneggi la tua arma. Non vuoi forse tener fede a quella promessa?».
La mente di Veit si schiarì; i suoi occhi, da appannati, tornarono a vedere in maniera limpida ed accorta, come solo gli occhi di un valente spadaccino sanno vedere. Kerwyn aveva ragione, questo era il momento peggiore per crollare sotto il peso dei propri sentimenti. Rialzandosi da terra, sentì la stanchezza svanire, e la sua antica caparbietà riprendere il posto all’interno del suo cuore. Quel sentimento l’avrebbe sorretto nei prossimi momenti della sua vita, come sempre aveva fatto in passato.
Le mani del Ladro si tesero verso di lui, tra le dita era stretta l’enorme spada flagello d’innumerevoli creature; il guerriero la prese con rinnovato vigore, sentendosi nuovamente se stesso mentre la estraeva dal suo fodero e con un fendente spezzava a metà il tronco dell’albero cui si era poggiato, disperdendone al vento le schegge muffite.
«Sapete cosa vi dico?» domandò, riallacciando l’elsa alla schiena e riponendovi dentro la spada, «Sento che rivedremo i nostri compagni molto prima di quanto possiamo immaginare. E le nostre armi danzeranno fianco a fianco ancora una volta, sotto le candide note della voce di Joif! Prima che la nostra vita termini, ci aspetta una straordinaria battaglia… e sento che al nostro fianco brilleranno anche le lame gemelle».
Dall’ombra dei due sottoposti di Jorsenaur, la piccola Wally osservava la scena con volto inespressivo, ma alle parole di Veit un dolce sorriso solcò le sue labbra sottili, prima di svanire inghiottito nella solita smorfia di sempre. Senza aggiungere una parola si voltò e proseguì, mantenendo un’andatura lenta per permettere a Jorsenaur di tornare alla testa del gruppo. L’arciere non tardò molto, e li condusse fino alla cinta muraria; nascosti tra i rovi e gli sterpi, i sei osservarono a lungo la maligna barriera rossiccia splendere al di sopra dei merli, irradiando il suo falso calore tutt’attorno. I due Umani rimasero a lungo fissi a contemplare il paesaggio circostante, ma il tempo passava e Jorsenaur non dava segni di voler proseguire, restando incantato a fissare un punto imprecisato sulla sinistra del loro nascondiglio; passato un altro minuto, Veit si era quasi spazientito, e raggiunse l’Hobgoblin per incitarlo a muoversi, ma un silenzioso gesto di quest’ultimo lo immobilizzò. Al primo seguì un secondo, che lo invitava chiaramente ad ascoltare, così il Guerriero tese le orecchie alla ricerca di suoni e rumori che potessero essergli sfuggiti; passarono diversi istanti nel più assoluto silenzio, ma alla fine un lontano brusio lo allarmò. Conosceva bene quel ritmo, avendolo ascoltato molte volte: poco dopo, una pattuglia corazzata di Derro sbucò dal lato opposto delle mura, intenta al solito giro di ronda sui confini della fortezza in rovina. La marcia disordinata e priva della minima disciplina la diceva lunga sul tipo di creature che erano i Derro, ma le orde demoniache non esitavano a sfruttarli per i loro affari al di fuori dei confini di Pago; il gruppo accompagnò il passaggio del plotone finché la curva delle mura non inghiottì l’ultimo soldato, ed il rumore non fu appena percettibile, poi Jorsenaur riprese l’avanzata, stavolta a ritmo più rapido.
«Perché non li abbiamo eliminati?» domandò Kerwyn alla loro guida, mentre cercava di mantenere il suo passo attraverso le frasche, «Avremmo potuto annientarli in pochi secondi, e nessuno avrebbe rischiato nulla più di qualche graffio per mano delle loro picche».
«Non metto in dubbio l’esito dello scontro, compagno Umano» rispose pacatamente l’altro, proseguendo infaticabile, «ma le loro schiere hanno subito pesanti perdite per vostra mano da quando siete qui, e probabilmente avranno intensificato la sorveglianza. Le vostre gesta sono note a noi come a loro, per quanto ignori cosa realmente sappiano di noi i nostri avversari».
La risposta, per quanto giusta, non placò l’odio che Veit provava verso quelle meschine creature, e non leniva il suo desiderio di gettarsi al loro inseguimento per eliminarle definitivamente; ma la sua mente tornò indietro fino a quel giorno sulla cima della torre di vedetta, quando un tappeto incantato si sollevò in aria e menò un loro compagno da solo nel cuore della città, attirando l’attenzione di tre grandi Demoni alati e dando luogo ad una disperata battaglia nei cieli. Poi però non riusciva a ricordare in alcun modo quale fosse stato il suo esito. Che strano... non ricordava nemmeno il volto o il nome di questo compagno, nonostante li avesse seguiti a lungo ed in diverse occasioni.
Le riflessioni del Guerriero furono interrotte bruscamente dalla voce gutturale della loro guida, che gracchiò: «Ecco, abbiamo trovato ciò che cercavamo!». Il gruppo si fermò a poca distanza dalla muraglia, in precisa corrispondenza di una fenditura larga a sufficienza da permettere il passaggio di un uomo adulto. Il muro si era deteriorato molto a causa dei numerosi eventi, ma era rimasto pressoché integro in tutta la sua struttura: questo varco in effetti sembrava fosse stato creato appositamente con strumenti rudimentali, e Kerwyn realizzò che gli Hobgoblin vi avevano lavorato lungamente sfruttando i pochi arnesi a loro disposizione, prima di venire a sapere della loro presenza. Eppure dietro la crepa l’alone vermiglio continuava a balenare minaccioso, trasmettendo inquietudine e timore.
«Entreremo da qui: il varco è ampio abbastanza da permetterci di penetrare senza disagio, e qui intorno non vagano Demoni guardiani, come vicino alle altre entrate. Non temete la barriera, la magia di Shardrak ci proteggerà adeguatamente dal suo straordinario potere».
«Dovete stare in guardia, i veri poteri della barriera sono dissimulati da un altro effetto magico che induce questo calore e la fa apparire come un muro di calore, ma in realtà...».
«Ne siamo consapevoli, abile Ladro» lo interruppe Jorsenaur con leggerezza, «ma non sarà una barriera gelida a fermare la nostra avanzata. Venite ora, lasciate che la magia di Shardrak ci avvolga e ci protegga». L’hobgoblin di nome Shardrak recitò alcuni riti nella sua lingua natale, accompagnandoli con gesti e movimenti che ricordavano vagamente quelli di Dorian; dopodiché le sue mani s’illuminarono, e uno ad uno sfiorò tutti i membri del gruppo, toccando se stesso per ultimo. Ripeté poi il processo per altri due incantesimi, finché con un cenno informò il suo comandante di aver terminato.
«Molto bene, finalmente ci siamo». Jorsenaur si avvicinò alla spaccatura, quindi si voltò a guardare i compagni, esclamando: «Prima di varcare questa soglia, sappiate che non siete ancora legati a nessun giuramento nei miei confronti, e che siete liberi di voltare le spalle e lasciare questo luogo infelice. Ma una volta attraversata questa barriera diventeremo un vero e proprio gruppo, e nessuno avrà il diritto di abbandonare i compagni. Questa è la vostra ultima possibilità, pensate bene a ciò che desiderate davvero!».
Il silenzio era carico di elettricità, ma nemmeno la minima sensazione di dubbio balenò per un istante sui cinque volti che gli restituivano lo sguardo. Con un sorriso di sfida, Veit estrasse il suo spadone e lo conficcò nel terreno davanti ai suoi piedi; al suo fianco, Kerwyn sguainò il suo stocco e lo piantò al fianco della lama del compagno. Una ad una, anche le armi di Wally, degli Hobgoblin ed una freccia di Jorsenaur si infissero nella stessa terra, in un silente giuramento prima dell’ultima battaglia.
«Facciamolo!» urlò Veit, ed al suo urlo risposero gli altri con pari veemenza. Poi ognuno riprese la propria arma, e l’arciere varcò la barriera: l’alone rossastro mutò immediatamente colore, rivelando l’azzurro gelido mistificato dai sortilegi demoniaci, ma Jorsenaur non ne sembrava per niente turbato, raggiungendo l’altra sponda come se avesse attraversato semplice aria. I suoi uomini lo imitarono velocemente, e Wally li seguì poco dopo. Veit e Kerwyn si mossero insieme. Quando il Guerriero provò il contatto con l’alone stregato, avvertì una sensazione che non provava da tempo immemorabile: la barriera non l’aveva ferito, ma nel suo cuore si agitavano l’eccitazione, la sete di battaglia ed un po’ di paura per ciò che li aspettava di lì a poche ore.
“Sì, è proprio l’accostamento migliore per ciò che stiamo per affrontare” pensò, inspirando una lunga boccata d’aria stantia. Per un istante che parve durare interi minuti si sentì sospeso a metà strada su quella soglia che tanto spesso aveva sperato di attraversare e che ora lo spaventava; ma anche il più lungo degli istanti ha un termine, e quasi all’improvviso i suoi piedi toccarono il duro pavimento lastricato della città. Alle sue spalle, la barriera scintillava nuovamente del colore del sangue, fluttuando placida come se nulla fosse accaduto; davanti ai suoi occhi, le cupe rovine fumanti di quella che un tempo era stata la più bella fortezza nanica del continente.
Muovendosi rapidamente, i sei compagni si diressero verso un rudere dall’aspetto abbandonato, con l’intento di trovare un rifugio, muovendo i primi passi sulla strada principale di Pago di Val Torkmannorack.

«Cosa? Puoi condurci a Norbat in pochi minuti?». Il volto di Dorian Wraiten esternava la grande sorpresa che provava. La Driade l’osserva col suo ghigno sul volto, poi annuisce col capo.
«A guardarvi, sembrate grandi guerrieri, e ciò che portate con voi sono senza dubbio oggetti di grande valore, oltre che di estrema rarità. Eppure, vagate a piedi per questi boschi senza nessuno che vi accompagni e senza nemmeno una cavalcatura che faciliti i vostri pellegrinaggi. Come mai?».
«Mi dispiace, ma le tue domande, per quanto legittime, non potranno trovare risposta. Ma hai detto di poterci condurre alla nostra destinazione, perciò non farti pregare e spiegaci le tue intenzioni».
La fanciulla posa gli occhi sul principe, soppesando con lo sguardo il suo fulgido armamentario e la corazza ingioiellata, e riflettendo tra sé. Infine, dopo aver preso una decisione, risponde ai muti sguardi dei suoi due salvatori, dicendo: «Esatto, posso condurvi fino alle porte della città che intendete raggiungere: il viaggio sarà sicuro e di breve durata, e risparmierete molti giorni di cammino, oltre ad evitare i pericolosi incontri che sicuramente fareste procedendo a piedi. Ormai non è più sicuro avventurarsi nelle terre circostanti...». Si interrompe per qualche istante, osservando i suoi due interlocutori scambiarsi sguardi entusiasti e quindi ringraziarla calorosamente.
«Allora è deciso» dice loro con un sorriso così largo da impressionarli, «datemi 3000 monete d’oro e potremo partire».
Sui visi dei due avventurieri la felicità cola via come pioggia, mentre le loro menti reagiscono alle parole poc’anzi pronunciate dalla Driade; poi, l’indignazione prende il sopravvento e i due, quasi sul punto di schiaffeggiare l’impudente creatura l’aggrediscono verbalmente.
«Cosa?!» tuona Dorian incredulo, «Hai il coraggio di proporti di aiutarci per poi domandarci del danaro in cambio dopo che ti abbiamo salvato la vita?».
«Purtroppo il mondo gira intorno alla moneta, ed anche se preferisco vivere in questi boschi ho comunque bisogno di oro, a volte» risponde lei, nella più totale indifferenza.
«Ma resta il fatto, mia cara fanciulla, che ti abbiamo salvato la vita» interviene Inejhas, recuperando la calma e cercando d’indurre la stessa anche nel compagno; «qualsiasi cosa tu dica, sei in debito con noi, ed anche se non ti obbligheremo a saldarlo, sarebbe tuo dovere morale prodigarti per restituire almeno in parte il favore, piuttosto che cercare facili guadagni approfittando delle difficoltà degli altri»Lo sguardo della Driade muta, divenendo da indifferente dubbioso ed irritato, come se la predica l’avesse toccata nel profondo. «Forse non hai torto, Umano» gli risponde, a denti stretti, «vi porterò laggiù per sole 1000 monete d’oro. Mi dispiace, ma non posso chiedervi meno: ho bisogno di quell’oro».
I due sacerdoti la osservano a lungo, mentre il silenzio regna sovrano. Alla fine sembrano concordare sulla sua sincerità, e scambiandosi un cenno d’intesa mettono mano ai sacchetti di monete che pendono dalle loro cinture. Raggruppato il compenso, lo porgono gentilmente verso la fanciulla.
«C’è un’altra cosa che devo dirvi» dice questa, prima di prendere il denaro dalle mani dei due, «purtroppo sono in grado di portare a destinazione solamente uno di voi due».
«Cosa? Maledizione! Sembra che i problemi con te non abbiano mai fine...».
«Dorian, non è il momento» lo rimprovera Inejhas, «dobbiamo raggiungere Norbat al più presto, e questo sistema ci permetterà di guadagnare molto tempo che altrimenti sprecheremmo. Uno di noi si lascerà condurre dalla nostra amica a destinazione, mentre l’altro proseguirà a piedi il viaggio. Resta solo da decidere chi di noi dovrà andare».
«Principe, se la mette in questo modo, credo sia meglio che vada io» risponde il Chierico alle parole del compagno. «Una volta giunto al tempio implorerò il perdono di Kord, ed i miei poteri verranno ripristinati: a quel punto potrò giungere qui rapidamente grazie ai miei incantesimi, e potremo raggiungere celermente un luogo consono anche alle sue esigenze».
Inejhas aggrotta le bionde sopracciglia, riflettendo intensamente ed analizzando la proposta di Dorian per poter prendere una decisione. Nel mentre, la Driade attende paziente che i due prendano la loro decisione.
«D’accordo» dice alfine il Paladino. «In effetti, i tuoi poteri ti permettono di spostarti molto più velocemente di me. Vorrà dire che attenderò qui il tuo ritorno pregando gli dei affinché guidino i nostri passi lungo la via».
Dorian ringrazia il compagno per la sua fiducia, salutandolo con la promessa di tornare il più presto possibile; Inejhas risponde al saluto con maniere rudi, ordinandogli di non perdere altro tempo. Il Chierico dunque si diparte dall’amico, raggiungendo la Driade e consegnandole il sacchetto con le monete.
La creatura ripone con cura l’oro consegnatole tra le pieghe della sua veste, e Dorian rimane fermo in attesa, domandandosi in che modo quella donna lo avrebbe condotto fino alle porte di Norbat. Improvvisamente però, il ghigno beffardo ricompare sul volto grazioso della fanciulla, e questa, con grazia ed agilità feline, si volta ed inizia a correre rapidissima. Al Chierico è necessario un istante per comprendere la situazione, durante il quale si limita a fissare la schiena di colei che avrebbe dovuto facilitare la sua marcia fino alla città.
La collera avvampa nel suo cuore, i suoi occhi si riempiono d’odio ed i dolori della maledizione diventano insignificanti mentre Dorian scatta all’inseguimento della subdola Driade che lo aveva raggirato. Le pesanti placche dell’armatura stridono e sbatacchiano, e con lo scudo e la pesante lama fanno sentire il loro peso sulle spalle del sacerdote guerriero; questi però le ignora, correndo sempre più veloce per raggiungere la ladra bugiarda che li aveva presi in giro.
Nonostante l’enorme peso, la foga è tale che il Chierico guadagna terreno ad ogni falcata, mentre la donna sembra sempre più lenta; Dorian, ormai a poca distanza da lei, nota che si sta dirigendo verso un’antica quercia dal tronco molto ampio, e mentalmente si prepara a scartare a sinistra o a destra, sapendo che anche lei lo avrebbe fatto per cercare di seminarlo: non si sarebbe lasciato ingannare da un trucco così semplice.
Con sua grande sorpresa però, la Driade non accenna a voler svoltare all’improvviso, ed il tronco è ormai troppo vicino per riuscire ad arrestare la corsa. Dorian l’osserva preparandosi a vederla schiantarsi contro la centenaria corteccia, pronto ad acciuffarla; però lo schianto non avvenne.
Non rallentando minimamente il suo passo, la creatura inseguita si lancia senza esitazione verso la pianta; ma invece di sbattere contro la sua robusta corteccia, il suo corpo si fonde con essa, penetrandovi senza alcuna difficoltà. Lo stupore del Chierico è tale che questi non si rende conto di essersi lanciato a gran velocità verso il medesimo albero; quando si accorge di ciò che sta per accadergli è ormai troppo tardi per evitare la collisione, ed istintivamente i suoi occhi si serrano per lo spavento, in attesa di essere respinto a terra dopo un doloroso scontro.
Ma non è dolore quello che avverte al contatto con la corteccia ruvida, bensì un tocco delicato che lo avvolge completamente, e sente il suo corpo sballottato e trascinato da una forza invisibile, che l’ha afferrato e non accenna a lasciarlo andare. La sensazione dura alcuni secondi, durante i quali il sacerdote non riesce in alcun modo a muovere alcuna parte del suo corpo; poi, così come era giunta, la forza misteriosa si dilegua, ed egli si ritrova in ginocchio. Schiudendo le palpebre, apprende di essere tornato sulla terra, ma ciò che lo circonda lo lascia esterrefatto: attorno a lui la radura ed il principe sono svaniti, ed a circondarlo si ergono centinaia di grossi alberi carichi di foglie. Sotto le sue ginocchia, un’erba di un verde scuro tendente al grigio ricopre il terreno umidiccio, e qualche rametto sparso qui e là si confonde con le radici dei giganti vegetali che predominano.
Alzandosi in piedi, ancora scosso dall’esperienza appena vissuta, Dorian vede a pochi passi la Driade: le sue spalle, ritte e fiere, ondeggiano a destra e a sinistra, mentre il suo sguardo vaga nel bosco alla ricerca di qualcosa di sconosciuto al Chierico; sentendo il rumore provocato da quest’ultimo per rialzarsi, la fanciulla si volta verso di lui, e gli rivolge un sorriso caldo e scherzoso, completamente diverso dal ghigno a cui era abituata. Alla vista di quel sorriso, i sentimenti di Dorian si sciolgono: l’ira e lo sdegno vengono spazzati via, sostituiti da vergogna ed imbarazzo per aver dubitato della buona fede della ragazza.
Scuotendosi le foglie di dosso, il sacerdote guerriero si avvicina alla compagna, attendendo in silenzio che i suoi occhi le indichino la strada da percorrere per portarli entrambi innanzi alle porte di Norbat.


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:14
 
Top
view post Posted on 3/12/2009, 18:37
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


I tre prìncipi o i tre princìpi?
 
Top
view post Posted on 3/12/2009, 18:57
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


CITAZIONE
E le nostre armi danzeranno fianco a fianco ancora una volta, sotto le candide note della voce di Joif!

RAMIANT! NON CE LA FACCIO PIù DI RIDEREEEEE xDDDD

LOOL

Scusatemi...

Ok continuo a leggere XD




"per quanto ignori"
"per quanto giusta"
Usa un'altra locuzione congiuntiva, sembra ridondante.
 
Top
view post Posted on 6/12/2009, 12:50

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


CITAZIONE (Eldrad @ 3/12/2009, 18:37)
I tre prìncipi o i tre princìpi?

Non l'ho specificato prorpio per vedere se ci arrivavi :D
 
Top
view post Posted on 6/12/2009, 13:05

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


CITAZIONE (Eldrad @ 3/12/2009, 18:57)
"per quanto ignori"
"per quanto giusta"
Usa un'altra locuzione congiuntiva, sembra ridondante.

Hai ragione, ora correggo. E' che non ho avuto molto tempo per rivederlo, prima di postarlo.
 
Top
view post Posted on 27/2/2010, 13:58
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


Come procede, Ramiant? P:
 
Top
view post Posted on 3/3/2010, 13:06

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Abbastanza a rilento.
Mi dovete scusare, ma oltre agli impegni universitari e sociali in questo periodo sono pure poco ispirato...

Ma non temete, è solo una pausa, le Terre Dietro l'Angolo non si chiuderanno qui!
 
Top
view post Posted on 18/3/2010, 14:45

Il Signore delle Terre Dietro l'Angolo

Group:
Administrator
Posts:
6,032
Location:
Una tranquilla zona delle Terre Dietro l'Angolo

Status:


Non so quanti ne saranno contenti, ma come promesso ecco che si continua!

Dal Diario di un Chierico...



Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo



Capitolo 22 - La fine del viaggio
L
a fitta coltre creata dagli intrecci delle fronde lasciava poco spazio libero ai raggi solari, al punto che il bosco sembrava immerso in una sorta di oscurità magica. Qui e là tuttavia alcune lame di luce balenavano, e l’aria pura e fresca era proprio quella di una splendida giornata di primo autunno.
Seduto ai piedi d’un imponente pioppo, Dorian assapora felice quel momento di pace e serenità, ben sapendo che di lì a pochi attimi avrebbe dovuto nuovamente concentrarsi sulla sua missione; eppure la Driade continuava a scrutare gli alberi che li circondavano, apparentemente indecisa sul da farsi. Sapendo di non poter esserle in alcun modo d’aiuto in quella situazione, decide di non importunarla e di concederle il tempo necessario a valutare la prossima mossa, lasciandosi nel frattempo trascinare dal torrente di pensieri che da oltre una settimana infuriava nel suo cervello: il loro gruppo si era definitivamente spaccato, e lui era consapevole che forse non avrebbe più rivisto alcuni dei suoi compagni. Già dall’addio di Xanter la rottura era quasi percettibile, eppure non avrebbe mai pensato di venire separato così bruscamente da quella che da oltre un anno era la sua famiglia; e adesso, Veit e Kerwyn erano soli innanzi alla più pericolosa fortezza del mondo, al fianco di un gruppo di goblinoidi di cui non sapevano niente; le squillanti parole d’incitamento enunciate da Joif solo poche ore prima suonavano ora così vuote nella sua testa da indurlo a domandarsi cosa invero aveva in mente quando accettarono di allearsi con creature così pericolose. E mentre loro dovevano guardarsi le spalle da Demoni e Hobgoblin, cercando nel frattempo di penetrare in un regno di terrore e morte, lui si trovava in una radura sperduto nelle sconfinate foreste del continente diretto a Norbat, nuovamente da solo come prima di essere un avventuriero, dopo aver lasciato indietro anche il principe Inejhas.
Una fresca brezza dal nord lo raggiunge e gli carezza il volto sconsolato, riaccendendo il suo cuore di speranza; il sacerdote guerriero rivolge allora il suo pensiero a Kord, implorandolo di sostenere lui ed i suoi compagni in questo momento nefasto, affinché possano adempiere al loro dovere al meglio delle loro capacità.
Al termine della silenziosa supplica, il richiamo soave della sua accompagnatrice attira la sua attenzione: con un altro dolce sorriso, la Driade indica al Chierico un punto imprecisato nel folto del bosco, quindi vi si dirige celermente senza attendere oltre. Dorian si riscuote dal suo placido riposo, e si affretta a seguire la creatura cercando di non perderla di vista, maledicendo nel frattempo l’enorme stazza della sua imponente armatura. La Driade si muove nel bosco con una grazia che a Dorian ricorda quella di Xanter, fluttuando tra un fusto ed il successivo come in una danza tribale dal movimento ipnotico; ma la corsa ha breve durata, e giunta al cospetto di un grande pioppo dal tronco scuro e contorto si volta indietro, assicurandosi della presenza del Chierico prima di gettarsi contro la dura corteccia. Per la seconda volta, questi osserva la figura svanire inghiottita dal comune legno di un albero, ed anche se si aspettava esattamente ciò, non riesce a soffocare il suo stupore nel vederlo accadere proprio davanti ai suoi occhi; nonostante negli anni avesse imparato a conoscere e perfino a manipolare la magia, rimaneva tuttora tanto affascinato quanto intimorito dal potere insito nella natura che lo circondava.
Ben conscio di ciò che lo aspetta, il giovane avventuriero serra le palpebre, forzando se stesso a non interrompere la sua folle corsa contro un solido tronco. A pochi passi dal traguardo la tentazione ha il sopravvento, ed egli dischiude le palpebre; ma si pente ben presto del suo sciocco gesto quando si ritrova a poco più di un piede dal tronco nodoso. Istintivamente tenta di scansarlo all’ultimo istante, coprendosi il volto con le braccia per quanto glielo consentano le spesse placche metalliche, ma al contempo si convince ad attraversarlo: come risultato, incespica goffamente nel portale arboreo, ruzzolando nel vuoto limbo prima di essere spedito verso la sua destinazione. Ancora una volta prova la sensazione di oltrepassare un delicato drappo morbido come aria, poi il suo corpo viene agganciato da mistiche forze della natura, e trascinato di peso per centinaia di miglia nell’arco di un unico secondo; l’atterraggio è più brusco questa volta, e Dorian crolla in ginocchio, mantenendosi il petto nel tentativo di evitare un conato. Ma la sua compagna questa volta ha già individuato il prossimo varco, e non sembra disposta a lasciargli il tempo di riprendersi, esortandolo con veemenza a rialzarsi ed a seguirla: a fatica il sacerdote riprende il controllo di sé, e raggiunge da donna, che nel frattempo è svanita in un’alta conifera. Dopo un altro attimo di esitazione, il Chierico s’immerge per la terza volta nel solido legno, augurandosi in cuor suo che quell’ennesimo viaggio lo portasse finalmente nelle vicinanze della sua amata città; purtroppo per lui, la sua preghiera non giunse ad orecchio alcuno, e dopo questo altri tre viaggi sballottarono Dorian per centinaia di miglia.
Ma finalmente, quando sentiva di non farcela più, un sorriso beato si allarga sul volto del sacerdote, mentre il dito della Driade si tende ad indicare una cinta muraria ch’egli aveva visto sin troppe volte per non riconoscerla immediatamente.
«Infine, mio corazzato amico, ecco innanzi ai nostri occhi ergersi Norbat, il polo commerciale di voi Umani. Ho mantenuto la mia parola».
Raggiante di felicità ed immemore della stanchezza e del malessere causatogli dal viaggio, Dorian raggiunge la ragazza, e dopo averle preso delicatamente le mani nelle sue, le dice: «Hai tutta la mia gratitudine, o dolce creatura. Il tuo intervento è stato per me come un otre d’acqua per chi ha strisciato per giorni in un arido deserto. Quest’oggi hai fatto davvero molto... per me, per i miei compagni, e forse anche per molte altre persone in tutto il mondo».
Alle parole entusiaste del suo compagno, il volto della Driade s’illumina d’orgoglio; ma ella è lesta a celarlo sotto un sorriso malizioso, mentre risponde: «Non perdere altro tempo in ringraziamenti, in fondo sono già stata pagata per il mio servizio»; esita, poi aggiunge con voce riconoscente: «inoltre mi avete anche salvato la vita».
Poi si volta, e col suo passo rapido e soffice raggiunge l’albero che li aveva portati fin lì. Voltandosi ancora in direzione di Dorian, aggiunge: «Possano gli dei vegliare sul vostro futuro, eroi», dopodiché scivola nel legno, svanendo in un guizzo di scintille color smeraldo.
“Possano gli dei vegliare anche sul tuo futuro, amica mia”.
Un impeto d’eccitazione percorre il corpo del sacerdote quando il suo sguardo si perde a contemplare le luci fatate che anche in pieno giorno risplendono festose per tutta la città; l’aria era carica di gioia, al punto che essa poteva essere percepita ancor prima di aver varcato le mura: a Norbat erano in atto i festeggiamenti cittadini.
Varcati gli imponenti bastioni della metropoli, il Chierico nota di aver effettivamente avuto l’impressione giusta: la città intera era addobbata con cura e magnificenza, ed il clima festaiolo traspariva da ogni singolo volto che s’intravedeva per le strade; anche le persone meno abbienti e fortunate durante questi giorni erano solite lasciarsi alle spalle i problemi e godersi un po’ di felicità. Incamminandosi attraverso quelle strade piene di gente, Dorian ricorda quando solo pochi anni prima lasciava il tempio per correre a divertirsi nelle piazze, ascoltare le musiche dei menestrelli e cercare belle ragazze; in quegli anni mai avrebbe pensato di dover vivere un futuro come quello in cui oggi era immerso.
La morsa della maledizione sembrava quasi assopita da quando egli si era allontanato dalle mortifere terre di Pago; l’aria salubre che respirava ora contribuiva alla sua salute, e l’eccitazione che lo circondava quasi gli faceva dimenticare il dolore che provava di continuo. Eppure, esso non era svanito, ed il piccolo insetto infernale continuava a svolazzare malignamente attorno alla sua testa. Concentrandosi su questo, e ben consapevole dell’urgenza che lo aveva spinto nuovamente lontano dalla sua missione, Dorian affretta il passo, cercando di farsi largo tra la folla vociante che si accalcava. Con un po’ d’affanno, raggiunge finalmente la strada maestra, che lo avrebbe velocemente condotto al tempio di Kord; ed il suo campanile era già in vista, quando il sacerdote ode nell’incredibile marasma una voce che sembra urlare il suo nome. Istintivamente si volta, ma la calca è troppo folta perché i suoi occhi riescano a discernere un qualche volto conosciuto; convintosi di aver solo immaginato quella voce, il Chierico continua ad avanzare, ma ecco che essa giunge di nuovo al suo orecchio, questa volta più chiara e squillante: nuovamente aguzza la vista, per cercare di capire chi lo stava chiamando, ed infine nota una ragazza di qualche anno più grande di lui che lo saluta con la mano. Piuttosto sorpreso, avanza lentamente, cercando di associare un nome a quel volto sorridente; anche lei si muove in direzione opposta, e non appena giungono faccia a faccia il sacerdote riconosce nel suo volto i fieri tratti dei Brottor: la ragazza era Aniel, sorella di Veit.
«Dorian Wraiten! Non ti ho più visto qui a Norbat da quando partisti in compagnia di mio fratello. Cosa ti porta di nuovo qui, e perché sei solo? È forse accaduto qualcosa a Veit?».
«No Aniel, non hai alcun motivo di temere per la sorte di tuo fratello» la rassicura, mantenendo un tono tranquillo nonostante l’anatema; d’un tratto nota quanto Veit e sua sorella si somiglino, e si chiede come aveva fatto a non riconoscerla immediatamente. «Veit è diventato un guerriero forte, e la sua abilità di spadaccino è ormai impareggiabile».
«Proprio ciò che mi sarei aspettata da un uomo della sua determinazione» commenta fiera lei; «ma ora dov’è? Perché non siete insieme?».
«Siamo stati costretti a separarci, ché questioni molto urgenti mi hanno richiamato qui in città. Anche lui avrebbe voluto tornare, e riabbracciare te e vostro padre, ma era necessario che rimanesse a Pago con il resto della nostra compagnia».
Al sentire il nome della città nanica, Aniel tira un sospiro di sollievo: «Dunque siete a Pago? Beh, spero solo che non si ubriachi troppo e che causi qualche disastro...».
La reazione lascia Dorian interdetto, ma subito realizza che il maestro non ha permesso che si sapesse alcuna notizia sui Demoni, per non scatenare il panico.
«Già, lui... ha promesso che si sarebbe controllato. D’altronde, è passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo passato una bella serata in una locanda...»; esita, non sapendo cos’altro dire, quindi cambia discorso: «Cosa è accaduto qui a Norbat da quando partimmo? Quali nuove mi porta la tua voce?».
«Dovresti averlo imparato, Dorian: Norbat è una grande città, ma è tranquilla e spensierata. La vita procede serena, e ben pochi sono gli avvenimenti che vale la pena ricordare, nel bene e nel male. Ma sei arrivato in tempo per la festa, potresti passare un po’ di tempo a divertirti, come qualche anno fa».
«Mi piacerebbe moltissimo» risponde il Chierico, «ma i miei impegni sono davvero impellenti, e non posso permettermi di perdere tempo in festeggiamenti, per quanto lo desideri. Tu sei qui per la festa?».
«In un certo senso, sì. Sono qui per lavoro, sto vendendo i prodotti del nostro allevamento. Vuoi assaggiarli?».
Ben lieto di mangiare qualcosa che, egli ne era certo, fosse saporito, Dorian accetta di buon grado, ed acquista una gran quantità di mozzarelle che i Brottor erano soliti produrre nella loro fattoria appena fuori città. Dopo averne assaggiata una, il gusto intenso lo riporta indietro nel passato, a quando mangiava quelle bontà in compagnia di Veit su alla fattoria Brottor.
«Ha ancora lo stesso sapore che ricordavo! Questo significa che gli affari continuano ad andar bene, ho ragione?».
La domanda però sembra turbare la sorella di Veit, che abbassa lo sguardo, come fosse imbarazzata da qualcosa. Al sacerdote non sfugge questo strano comportamento, ed incuriosito domanda quale fosse il pensiero che turbava il suo animo. Aniel allora decide di raccontargli che da qualche tempo alcuni individui erano giunti a casa loro; né lei né suo padre li avevano mai conosciuti o visti all’interno delle mura di Norbat, ma questi manigoldi avevano imposto loro il pagamento periodico di un’ingente somma per garantire l’incolumità dell’allevamento da possibili “incidenti”. Il signor Brottor avrebbe voluto cacciarli fuori dalla sua proprietà spada alla mano, ma la sua età gli impediva di combattere come un tempo, sebbene il suo fisico fosse ancora prestante; inoltre, il timore che un’orda di sconosciuti potesse distruggere il suo allevamento, o fare del male alla sua unica figlia lo fece cedere, e da diversi mesi elargiva regolarmente danaro agli inviati di questi sconosciuti.
Il racconto scatena in Dorian un odio terribile, mentre foschi bocconi del suo passato quasi dimenticato riaffioravano alla sua memoria, combaciando quasi alla perfezione. Le parole di Aniel narravano una storia che nella sua adolescenza egli aveva già vissuto, ed aveva giurato solennemente che mai più avrebbe permesso il ripetersi di una simile atrocità.
«Tutto ciò è terribile, Aniel. Ma non temere: ora che so tutto, ti prometto...», ma improvvisamente si ferma, mentre si fa avanti nella sua memoria il motivo che lo aveva condotto su quella strada, e la consapevolezza di avere una cruciale missione da compiere, ben più importante di un branco di ladruncoli intenti a minacciare una singola famiglia. Eppure il suo giuramento aveva per lui una grandissima importanza... che fare?
«Dorian, va tutto bene?»; la voce della sorella di Veit lo scuote dai suoi pensieri, e lo riporta alla sua scelta. Riacquistata la decisione, guardandola negli occhi: «Ti prometto che mi occuperò della faccenda. Prima però devo portare a termine i miei doveri e raggiungere il tempio di Kord. Ti chiedo scusa».
Con sua sorpresa, un sorriso si dipinge sul volto della ragazza, che lo abbraccia ringraziandolo: «Sapevo che ci avresti aiutato! Ti ringrazio con tutto il cuore. Ora però è meglio che ci separiamo: io ho da mercanteggiare, e tu devi prima di tutto portare a termine i tuoi affari. Spero di rivederti presto, e spero che la prossima volta ci sia anche mio fratello!»; poi, dopo averlo stretto in un caldo abbraccio, raccoglie il cesto che portava e s’immerge nella folla caotica della festa. Dorian rimane qualche secondo a fissarla mentre la calca la sommerge, finché non è più in grado di distinguerla; voltandosi, lancia un’occhiata alla collina dove sorge l’allevamento dei Brottor, luogo a lui molto caro in passato. Non immaginava che vi sarebbe tornato in questa occasione, ma sentiva che la decisione presa era giusta e, nonostante il tempo fosse poco, il principe avrebbe compreso l’urgenza: di sicuro gli avrebbe perdonato questo ritardo.
Ripresa dunque la sua marcia, il sacerdote alza gli occhi verso l’imponente campanile che si erge dal tempio, ora sempre più vicino; le sue candide mura di pietra e di marmo risplendono scintillanti al sole di mezzodì, spandendo un riflesso sull’intera Norbat, come una benedizione divina in questo giorno di festa. La gran quantità di persone che si affollavano attorno ai mercati rendeva difficile qualunque migrazione, ma Dorian avanza risoluto, deciso a raggiungere il suo obiettivo senza altri contrattempi; nemmeno gli sguardi torvi, probabilmente a causa del suo pesante equipaggiamento, a lui lanciati da alcuni volti nella ressa riescono a distrarlo.
Finalmente, dopo la lunga e difficoltosa marcia, riesce a raggiungere lo spiazzale su cui si affaccia il maestoso ingresso del suo tempio: nonostante la festa abbia privato i cittadini di molte delle consuete inibizioni, il timore ed il rispetto per il dio Kord sembravano resistere intatti, poiché non un solo bancone era stato allestito in quello spiazzo, in cui passeggiavano solo sparute coppie o alcuni anziani intenti a rivolgere una preghiera per i loro cari. “O forse è solo la paura di incappare nell’ira del maestro Kergorbart” pensa Dorian, e nel ricordare le sfuriate che il maestro riservava a tutti i suoi allievi, un sorriso nostalgico fa capolino sul viso. Ma questo non era il momento per lasciarsi trasportare dai ricordi, e ben consapevole raggiunge l’imponente portale che separa la città dal suo più importante luogo di culto e di potere; nel varcare quella soglia che tante volte lo aveva accolto con calore ha un attimo di esitazione, e la vergogna per essere giunto fin lì ad implorare il perdono lo assale e lo turba. Ma molto è rimasto ancora da compiere, e la vittoria nella loro disperata battaglia dipendeva moltissimo anche dall’influenza di Kord. Ciò significava anche subire l’umiliazione di presentarsi davanti al suo maestro e chiedergli di intercedere per lui con la propria divinità. Con la sua missione marchiata a fuoco nella mente, e con rinnovata determinazione, Dorian spalanca il portale ed entra nell’atrio del tempio.


Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:14
 
Top
view post Posted on 20/3/2010, 10:47
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
8,300

Status:


Clapclapclap! :D

Ho appena finito di leggere. Recensisco quando ho tempo. xD
 
Top
160 replies since 20/5/2007, 10:26   2631 views
  Share