| Ormai pensavate di esservene liberati, vero? Beh, spiacente di avervi deluso, ma Le Terre Dietro l'Angolo moriranno con me (e ho intenzione di campare ancora a lungo ).Dal Diario di un Chierico... Le Avventure delle Terre Dietro l’Angolo Capitolo 20 - Il gruppo si scioglieL a foresta di Pago di Val Torkmannorack: un tempo verde distesa di alti alberi frondosi. Ora, tristo ammasso di secca legna avvelenata da un male insanabile. I morti rami sono ora aguzzi e spinosi, e s’intricano tra loro come per impedire l’accesso ad estranei; sul suolo, il sottobosco è occupato da erba marcia e foglie secche, rami, arbusti e radici scoperte, che rendono la marcia pressoché impossibile. Inoltre quest’inospitale distesa legnosa è da tempo rifugio di creature contaminate, rese più forti ed aggressive dalla vicinanza al male. Primi tra tutti, i Treant. Ma nonostante tutto, in un’angusta radura al centro degli alberi sorge una costruzione perfettamente immersa nell’ambiente che la circonda, riparo di creature che tentano di opporsi al male che inesorabilmente dilaga in tutto il mondo. Brottor Veit si alza improvvisamente dal suo sgabello, lasciando il tavolo ove i suoi amici da ore discutevano, ed avvicinandosi ad una delle piccole finestre. Guardando fuori, scorge tra le cupe nubi un angolo di cielo coperto di stelle scintillanti, e tutt’a un tratto si scopre a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro domani; poi nella sua mente affiora il volto spigoloso di Xanter. “Chissà cosa starà facendo in questo momento...” si domanda il Guerriero: era ormai passato poco più di un giorno da quando il loro amico Elfo si era separato da loro, eppure pareva passato molto più tempo. D’altronde, molte cose erano già accadute, e molte altre sarebbero accadute domani... «Veit» la voce del principe Inejhas lo riporta improvvisamente alla realtà, facendolo trasalire; «la riunione è finita, è tempo di dormire. Domani sarà una giornata molto dura, e probabilmente affronteremo diversi scontri con i nemici, dunque è bene recuperare le forze». Il Guerriero volge un ultimo sguardo al di là del vetro della finestra, intravedendo questa volta le mura della città; ad un tratto sguaina la sua lama e la osserva intensamente, contemplandola immerso in pensieri profondi e duri. «Sì» risponde alfine, riponendola con delicatezza, «sarà meglio per tutti». Gli avventurieri, insieme con i loro nuovi alleati, trascorrono la notte nel rifugio, sistemandosi sulle varie brande. La loro stanchezza è palese, e ben presto tutti piombano in un sonno profondo e tranquillo; ad un certo punto, però, una delle figure lascia la branda e si aggira con passi felpati attraverso la stanza. Giunto alla porta, la spalanca e lascia il covo, immergendosi nel freddo cupo della foresta notturna. Uscito dal rifugio, Joif, colto da un nuovo attacco di dissenteria causatogli dalla maledizione di Dorian, corre nel folto degli alberi in cerca di un luogo appartato; mentre si aggira nella zona però, un improvviso spostamento d’aria lo coglie di sorpresa, e non riesce in alcun modo a trattenere un gemito mentre un enorme Treant compare innanzi a lui. I roventi occhi scarlatti della creatura lo fissano per un istante, durante il quale Joif non osa nemmeno respirare, poi uno dei rami fende l’aria con sordo rumore: il tonfo è sonoro, ed il Bardo viene scaraventato diversi passi indietro, lanciando un acuto urlo di dolore. Nel rifugio, i suoi compagni odono il grido malgrado la stanchezza, e riconosciuta la voce scattano tutti in piedi, allarmati; al primo grido però, succede un secondo, poi un rantolo, e prima che alcuno di essi possa fare qualcosa, il silenzio torna a fare da padrone. Per un momento restano tutti immobili, gli occhi fissi nella direzione da cui provenivano i lamenti, poi Dorian crolla in ginocchio reggendosi la testa fra le mani, scosso da un dolore lancinante; gli avventurieri non hanno idea di cosa fare, se correre fuori a cercare Joif, o prestare soccorso a Dorian, quand’ecco che anche Inejhas viene colto dallo stesso malore. Ormai la costernazione è elevatissima, e Wally e Veit corrono in aiuto dei due guaritori, mentre Kerwyn varca la porta in cerca del Bardo disperso; quando rientra, tra le mani stringe il corpo inerte del compagno, il braccio sinistro piegato in maniera innaturale ed il bel volto solcato da graffi e sporco di fango. Ad un’occhiata interrogativa del Guerriero, Kerwyn risponde scuotendo il capo. Dorian ed Inejhas sono stati risistemanti sulle loro brande, ove sembra che il dolore si sia attenuato: il loro respiro è tuttavia ancora affannoso, come dopo una lunga corsa, e le loro forze sono completamente dissipate. «Come sta Joif?» domanda Dorian, con un filo di voce. Anche a questi, il Ladro risponde con un cenno di diniego, poi abbassa lo sguardo: «Voi come vi sentite?». «Se non sapessi già cosa mi è capitato, ti direi di essere prossimo alla fine» replica il sacerdote, «ma purtroppo lo so, e qualsiasi altra cosa sarebbe meglio». I compagni rimangono sorpresi e turbati dalle tristi parole poc’anzi pronunciate, ma la curiosità di Kerwyn lo spinge ad insistere: «È forse un effetto della maledizione? Il fatto che abbia colpito anche Inejhas può significare che si sta trasmettendo attraverso di noi?». «No, no, niente del genere» lo tranquillizza subito, «la maledizione non ha nulla a che vedere con ciò che è successo. Inoltre, almeno per il momento, voi non avete nulla da temere»; s’interrompe, in preda a colpi di tosse che maggiormente preoccupano gli altri, poi riprende: «Io ed il principe ci troviamo in queste condizioni per il volere degli dei». La notizia lascia tutti i presenti sgomenti: nessuno di loro riesce a comprendere quale parte possano aver avuto gli dei in questa vicenda. Veit raggiunge il capezzale del compagno, poi con la sua forte voce prende la parola: «Che significa questo, Dorian? Spiegati». Ma è il principe a concludere al suo posto: «A quanto pare, le nostre divinità ci ritengono in parte responsabili per la tragica fine di Joif. Le sofferenze che stiamo patendo ora, sono la loro punizione per aver contravvenuto ai precetti morali da loro impartiti. Entro pochi minuti il dolore si placherà, ma purtroppo sia io che Dorian siamo stati privati di tutti i poteri che ci derivavano dalle divine influenze». «Per noi questo è il massimo della vergogna» mormora Dorian, quasi sull’orlo delle lacrime. Non potendo fare altro, gli avventurieri riprendono posto nelle loro brande e si riaddormentano; ma se finora la notte era trascorsa in pace ed in tranquillità, sono ben pochi i minuti che ciascuno di loro riesce a dedicare al sonno: l’aria era diventata molto densa e pesante, e la tensione era quasi palpabile. All’alba, nessuno di loro necessita di essere svegliato, essendo tutti desti anche se molto stanchi. Dorian ed Inejhas si ritirano in un cantuccio appartato ove recitano le loro quotidiane preghiere, mentre gli altri trascorrono il tempo consumando una semplice colazione e discutendo sottovoce. Veit e Kerwyn sono l’uno di fronte all’altro, e di tanto in tanto lanciano occhiate in direzione dei due incantatori: Inejhas sembra essersi ripreso, e conserva la sua regalità malgrado l’ira divina. Dorian d’altro canto è ancora debole, forse soprattutto per via della maledizione, che non accenna ad allentare la sua morsa. «Cosa pensi che dovremmo fare con loro?» domanda Kerwyn all’amico, «Sono entrambi debilitati, potrebbero rallentarci». «Non dire certe cose» lo ammonisce il Guerriero, «sono i nostri compagni, non dimenticarlo!». «Non l’ho dimenticato, ma penso a ciò che potrebbe succeder loro se osassimo violare le mura di Pago. Non sarebbero in grado di sostenere uno scontro con i Demoni nelle loro condizioni, e finirebbero per mettere in pericolo loro stessi e noi, oltre alla riuscita dell’operazione». «Purtroppo hai ragione, ma cosa dovremmo fare? Lasciarli qui senza protezione? E se qualcuno scoprisse il rifugio?». Kerwyn cerca di pensare ad una soluzione che possa garantire la sicurezza dei compagni e nel contempo la segretezza della loro missione, ma Dorian interrompe i suoi pensieri, comparendo alle sue spalle con un volto funereo: «Oh, Dorian» lo saluta il Ladro, «spero che tu stia meglio oggi. Stavamo discutendo riguardo la vostra partecipazione alla missione: non penso che tu ed il principe dovreste...». «Non occorre che tu dica altro» lo interrompe il sacerdote, «conosco la situazione e so di non poter essere d’alcun aiuto nelle mie attuali condizioni. È per questo motivo che ho deciso di tornare a Norbat: mi recherò al tempio che fu la mia casa, e lì implorerò il perdono di Kord tramite il maestro Kergorbart. Espiare le mie colpe è ora l’impegno più importante che devo portare a termine». I compagni lo fissano per qualche tempo, e lui si accorge che non sono affatto sorpresi: entrambi capiscono l’importanza della scelta di Dorian, ed il peso che grava sulle sue spalle a seguito di una decisione sì dura. «Quando partirai?» domanda Veit. Il Chierico non risponde subito, concedendosi qualche istante di riflessione, poi: «Purtroppo sarà un lungo viaggio, e la marcia sarà perigliosa e stancante. Sarebbe duro anche senza l’effetto della maledizione. Eppure, prima partirò, prima potrò tornare qui e riunirmi a voi. Penso che sia mio dovere intraprendere questo nuovo viaggio immediatamente, prima che altri imprevisti complichino ulteriormente la situazione. «Porterò con me Joif, e gli restituirò la vita non appena mi sarà stato concesso il perdono. Se questo non dovesse accadere, provvederò ugualmente a far sì che torni indietro dai morti, e concluda i suoi giorni nel modo che preferisce». Kerwyn sposta lo sguardo oltre la spalla corazzata del Chierico, osservando il principe intento a consumare la propria colazione seduto da solo al tavolo, un’ombra malinconica che gli oscura il volto, tutta la sua imponenza e la sua maestosità svanite nel nulla. «Lui cosa farà?» domanda a Dorian, ma in cuor suo conosce già la risposta. Il Chierico l’osserva a sua volta, per qualche istante, contemplando sconsolato gli effetti dell’ira divina, quindi risponde: «Non abbiamo ancora avuto modo di discutere quest’argomento, ma immagino che anch’egli consideri prioritario ottenere il perdono del proprio dio: esattamente come la mia, la sua vita è consacrata ad una divinità, e qualsiasi sua azione verrà giudicata. Ciò che ci è capitato altro non è che un ammonimento, un mezzo che le divinità utilizzano per dirci che abbiamo smarrito la retta via, e che stiamo brancolando nel buio, lontano dalla nostra meta»; s’interrompe, socchiudendo gli occhi e soffocando una fitta di dolore al fianco, ma sul suo volto si affaccia un limpido sorriso, non di una persona che soffre, ma di un uomo il cui destino è stato appena rivelato, «sta a noi ora ritrovare la strada e tornare a percorrerla nel giusto verso». Poco dopo, i cinque compagni varcano la soglia invisibile che protegge un caldo rifugio, pestando coi loro stivali le foglie secche e gli arbusti sparsi nell’angusta radura. Un piccolo spiraglio si apre ad un tratto tra le fosche nubi che continuamente opprimono il limpido cielo di Pago, ed un audace raggio del fiero astro balena per un attimo sui loro volti: molto tempo era passato da quando avevano contemplato il Sole per l’ultima volta, al sicuro tra le solide mura di Norbat. In quel mentre, alle loro spalle, anche gli Hobgoblin lasciano il loro rifugio e, quasi fosse un segno nefasto, le nuvole voraci si ricongiungono, fagocitando il flebile raggio di tiepida luce che aveva, anche se per poco, scaldato gli animi degli avventurieri. Dopo essersi assicurati che tutto fosse in ordine, Dorian e Inejhas si avvicinano ai loro compagni: vigorosi abbracci e poche parole caratterizzano quei momenti, tutti più che sicuri che ben presto si sarebbero ricongiunti. Mentre il Paladino saluta Wally, Dorian si avvicina a Jorsenaur e, prendendolo in disparte, gli dice con voce dura: «Saremo presto di ritorno, e vi daremo manforte al meglio delle nostre capacità. So che l’operazione che state per intraprendere è dura e pericolosa, e che ci sono molte probabilità di fallimento e di morte, ma ti avverto: se dovessi scoprire che uno o più dei miei amici sono morti per vostra mano o per vostra negligenza, non mi fermerò finché non vi avrò trovati e puniti come meritate». L’Hobgoblin lo fissa a lungo, un’aria all’unisono divertita ed impressionata sul volto segnato, quindi dischiude le labbra, dicendo: «Hai la mia parola che né io né i miei uomini oseremo sollevare le armi per primi contro i tuoi amici. Ma se dovessero trovarsi nei guai, dovranno cavarsene fuori da soli: non compare, fra le qualità dei Goblin, quella di salvare vite». «Molto bene» conclude Dorian, «in questo caso, non ho altro da aggiungere... eccetto, forse... buona fortuna». Il guanto corazzato del Chierico si tende, fino ad incontrare l’artiglio dell’arciere: i due si scambiano una poderosa stretta di mano, gli occhi colmi di stima reciproca, quindi si congedano senza aggiungere un’altra parola. Kerwyn e Veit osservano i loro compagni allontanarsi da loro, in direzione delle piane sconfinate di Norbat: altri tre eroi avevano lasciato il gruppo... I due sacerdoti guerrieri camminavano ormai da alcune ore, risparmiando il fiato per la marcia. La morsa che la maledizione esercitava su Dorian si era affievolita con l’allontanamento dalle mura, permettendogli di mantenere un’andatura regolare. Attorno a loro, lo spettacolo è sempre desolato ed inquietante; tuttavia, per fortuna o per destino, nessun essere della zona sbarra la loro strada. Il Chierico scruta frequentemente il suo compagno durante la marcia: questi avanza mettendo un piede avanti all’altro come se fosse mosso da qualche sortilegio, il suo volto rimane impassibile durante tutto il tragitto, e non un suono proviene dalle sue labbra. Dorian riesce quasi a palpare l’immane determinazione che spinge il principe verso Norbat, e si rende conto di essere mosso dal medesimo desiderio di porre rimedio agli errori del passato. Dopo altre due ore di marcia, intervallate da una breve pausa per pasteggiare, i pellegrini notano con letizia che il paesaggio intorno a loro comincia a riacquistare il solito aspetto: le nubi fangose sono ormai sorpassate, ed il cielo è macchiato qui e là da allegre nuvolette candide, incredibilmente simili a batuffoli d’ovatta; il disco ardente irradia maestoso tutte le terre circostanti, ed il verde dei prati e delle ricche fronde trasmette una sensazione di pace e serenità. Davanti a quello spettacolo, Dorian si sente rinvigorito, come se la maledizione fosse stata spazzata via dalla luce solare, e avverte il desiderio di gettarsi in terra e respirare la pura aria della natura, fino a che il sonno non prenda il sopravvento. Ma Inejhas sembra incurante della meraviglia che li circonda, e continua ad avanzare senza neanche guardarsi intorno, seguito dal sacerdote. Ad un tratto però, un grido squarcia il silenzio del luogo, cogliendo di sorpresa i due compagni: per Dorian è come essere bruscamente destati da un sonno profondo, ed impiega qualche istante a rendersi conto di cosa sta accadendo. Nel frattempo il grido si ripete, più disperato di prima; il principe non esita un altro istante, ed imbracciate le fulgide armi si getta in direzione del richiamo. Il Chierico si affretta a raggiungerlo, cercando di allontanare la fatica che ora improvvisamente gli era piombata addosso. I due si aprono la strada attraverso un boschetto, mentre la voce urla per la terza volta, ed appena usciti si guardano attorno, i muscoli tesi pronti a scattare: innanzi a loro, alla base della collinetta sulla quale si trovavano, una fanciulla corre a perdifiato, inerpicandosi sulle alture spinta dalla disperazione. Gli abiti succinti lasciano scoperta gran parte del suo corpo, che appare tuttavia di colore scuro e con numerose venature, come se fosse rivestito da corteccia; anche i lunghi capelli ribelli ricordano le fronde di una pianta, aumentando la sua somiglianza con un arboscello. Alle sue spalle, due terribili figure scure galoppano, guadagnando terreno con celerità: le forme tipicamente equine, anche se molto più grosse e massicce, si fondono alla base del collo con dei torsi umani dotati di forti braccia e di mani che brandiscono mortifere lance. Dorian li avrebbe chiamati Centauri, se non fosse stato per un particolare: la carne dalle loro ossa era stata completamente asportata, e gli scheletri ingrigiti dal male erano liberi di vagare, dotati di volontà propria; eppure, la loro era vita completa, seppur malvagia, non una semplice imitazione, come per i Non Morti. Queste creature dovevano quindi appartenere alle schiere demoniache che infestavano Pago. “Incredibile” pensava Dorian sconvolto, osservando le figure pregne di male che galoppavano davanti ai suoi occhi, “sono già arrivati fin qui! La loro espansione sembra essere davvero inarrestabile...”. Inejhas non esita nemmeno per un istante, e con un urlo di battaglia si scaglia a testa bassa verso i due mostri, i quali arrestano la loro carica e si voltano a fronteggiare il nuovo nemico; alle sue spalle un enorme scudo si erge, ed anche il Chierico di Kord avanza deciso verso i nemici. La carica del principe è rabbiosa ed il fendente colpisce il Centauro più vicino con immane potenza. Questi però non sembra neanche lontanamente ferito, e risponde all’assalto con pari furore. Il suo compagno si lancia al galoppo contro il secondo avversario, la lancia acuminata che scintilla al sole mentre la carica la sospinge verso Dorian; questi però manovra con attenzione ed abilità, e leva il suo imponente baluardo in tempo per deviare il colpo, quasi disarmando il nemico. «Dorian, questi empi esseri appartengono alle schiere demoniache!» tuona Inejhas, e nel mentre rinfodera lo scudo e la spada, estraendo al loro posto un grande spadone simile a quello di Veit, ma dalla lama più scura e minacciosa. «Conosci il loro punto debole! Attaccali col Ferro Freddo!»; lo spadone ricade pesantemente sul braccio del Centauro, tranciandolo di netto come fosse aria. La creatura urla e si contorce in preda ad indicibile dolore, mentre dalle due estremità recise dell’arto scheletrico si levano neri fumi soffocanti. Il sacerdote guerriero di Kord conosceva bene la debolezza delle truppe dell’Abisso; tuttavia all’inizio del suo viaggio mai avrebbe pensato di trovarsi faccia a faccia con un’immensa orda demoniaca che minacciava di sottomettere l’intero continente, sprofondando migliaia di vite nell’oblio. Mai avrebbe pensato di aver bisogno di una lama forgiata nel mitico Ferro Freddo dei Nani, flagello demoniaco. Ma ora non aveva il tempo per ripensare alle scelte del passato: il suo avversario gli era ancora addosso, e nonostante sia sempre stato un combattente valente quanto il principe, la morsa della maledizione ora lo attanagliava e lo soffocava. Cercando di ignorarla e di concentrarsi sulla lotta, il Chierico leva nuovamente il suo scudo a ripararlo da un nuovo colpo portato dal Centauro, e risponde deciso, inferendo la demoniaca alterazione con la sua solida mazza: il colpo è molto pesante, ed il mostro lancia un urlo dolorante. Subito dopo però i suoi occhi iniettati di male lanciano all’avversario tutto l’odio che possiedono, e nuovamente la creatura fa roteare la sua lancia: il legno devia la mazza lontano dal corpo lasciando il petto privo di protezione, e prima che il braccio destro possa portare lo scudo tra la lancia ed il torace, la punta scatta e penetra. Dorian geme ed indietreggia di qualche passo, cadendo poi in ginocchio. «Dorian!!» urla Inejhas, fissando il compagno con occhi sbarrati. All’improvviso però questi alza la testa, e sul suo volto è dipinto un ghigno divertito. «Dovrai colpirmi molto più forte» spiega al suo nemico, «se vuoi sperare anche solo di farmi un graffio. Non sottovalutare la mia corazza!». I due duelli proseguono a ritmo serrato, con affondi e fendenti che si susseguono frenetici; il rumore della battaglia è ormai un folle rintocco ritmico che scandisce quelli che potrebbero essere gli ultimi istanti di vita dei quattro combattenti. La fanciulla che pochi attimi prima fuggiva in preda ai singhiozzi ora giace in terra, devastata dalla paura ma incapace di fuggire; e resta lì in terra, paralizzata, a fissare i duelli che decideranno le sorti della sua vita. Un fiotto di adrenalina lo assale, seguito quasi istantaneamente dal dolore: si guarda il braccio e vede il sangue che scorre copioso dalla ferita causata dalla lancia. La punta è ancora dentro, ed il dolore non accenna a diminuire; le forze lo abbandonano, si sente svenire... Sarebbe così facile arrendersi e smettere di soffrire... “No!” il fiero principe Inejhas si costringe a rialzarsi. “Non solo la mia vita è legata a questo scontro. Se dovessi morire ora, Dorian sarebbe attaccato da due creature, e nella sua condizione avrebbe la peggio; poi quella povera fanciulla rimarrebbe in balia di questi mostri senz’anima. Non posso arrendermi e condannarli!”. Le sue dita rinsaldano la presa sull’elsa ingioiellata, e con una torsione del corpo il principe riesce a spezzare l’asta del nemico, lasciandolo sorpreso e disarmato. Poi, con un urlo furioso si lancia in avanti, conficcando per intero la lama nel corpo del centauro: la creatura si dimena e si contorce, mentre il Ferro Freddo nelle sue carni gli devasta le viscere, ma la sua agonia ha breve durata prima di accasciarsi in terra e svanire in una nuvola di putrido fumo scuro. Inejhas riprende fiato, si strappa la lancia ancora conficcata nel suo braccio ed istintivamente sfiora la ferita con le dita, intenzionato a guarirla; ma subito abbassa lo sguardo al suolo, colmo di odio verso se stesso per aver deluso in questo modo Heironeous. Ci sarebbe riuscito. Si sarebbe guadagnato il perdono espiando le sue colpe. Dorian è quasi esausto, ma non accenna ad abbassare la guardia: il suo nemico ha cominciato a portare attacchi sempre più rapidi e furiosi, ed il Chierico non riesce più a raccogliere le forze necessarie per rispondere. “Se non altro” pensa, “finora sono riuscito ad impedire che mi colpisse. Il mio scudo e la mia armatura si sono rivelati ancora una volta dei validi strumenti di difesa... ma per quanto ancora potrò resistere?”. Ad un tratto il nemico si scopre subito dopo un colpo di lancia deviato dallo scudo; Dorian coglie l’occasione al volo, puntando l’esito finale del duello su quest’unico colpo che l’avversario gli ha concesso. Purtroppo però, stavolta la fortuna non arride al Chierico, ed un’altra fitta di dolore lo coglie proprio mentre sta per colpire: la forza viene a mancargli, e l’impeto dell’assalto gli fa perdere l’equilibrio. La dura terra arresta la sua caduta, ma la sua schiena è totalmente in balia dell’acuminata arma del centauro, che ora può trafiggerlo con facilità. Dorian riesce a voltarsi: avrebbe guardato la morte in volto, mentre questa lo falciava. Tuttavia la morte non arrivò quel giorno, poiché un cupo spadone calò sul dorso equino del centauro, strappandogli un lungo gemito. «Voltati ed affronta me, lurido scarto degli Abissi!» risuona la voce del principe, e la sua sagoma si frappone tra il centauro e la sua preda, poi la lama lampeggia ancora. Un altro tonfo cupo ed il centauro urla nuovamente, ma Inejhas non prova alcuna pietà per creature che hanno eletto a loro motivo di esistenza la più pura delle malignità. I colpi si susseguono, ed il centauro sembra privo di ogni speranza, finché, con un ultimo grido disperato balza al galoppo e si dà alla fuga. I due compagni lo fissano mentre si allontana verso la città maledetta: entrambi vorrebbero inseguirlo ed infliggergli il colpo decisivo, ma sanno di avere altre priorità; forse un giorno le loro strade si sarebbero nuovamente incrociate. Raggiunta la giovane, i due l’aiutano a rialzarsi, rassicurandola e spiegandole che il pericolo era oramai passato. Questa, riacquistato un po’ di coraggio, mormora qualche parola di riconoscenza, ma è ancora troppo scossa; Dorian cerca di tranquillizzarla ulteriormente, e le domanda: «Cosa ci fai da queste parti? È una zona pericolosa, nessuno dovrebbe attraversarla incautamente». «Questa è la mia casa» risponde la Driade, «è qui che ho sempre abitato, ma all’improvviso quei mostri sono emersi dai boschi e hanno cominciato ad inseguirmi... se non ci foste stati voi...». «Non temere, nel disegno divino la tua fine non era ancora giunta» esordisce Inejhas, «altrimenti non ci avrebbero fatto capitare da queste parti in questo preciso istante». La donna alza gli occhi a fissarlo: «Cosa vi spinge da queste parti?». «Siamo in marcia per raggiungere la città di Norbat, dove affari urgenti ci spingono a recarci. Purtroppo sarà una lunga marcia...». Sulle labbra della Driade appare, con sorpresa di entrambi, un sorriso indecifrabile, simile ad un ghigno; nessuno dei due sa cosa dire, entrambi messi a disagio dall’improvviso cambiamento d’umore della fanciulla, quindi attendono in silenzio che questa si spieghi. Ella però non sembra intenzionata a proferire un’altra parola, limitandosi a fissarli divertita; infine Dorian non può più aspettare, e le domanda: «Cosa succede? Perché sorridi?». «Sapete...» risponde lei, il ghigno sulle sue labbra sempre più largo, «sono davvero convinta che siano stati gli dei a permettere il nostro incontro, oggi: penso di potervi condurre innanzi alle porte di Norbat in pochi minuti».
Fine della Seconda Parte Edited by Eldrad - 26/6/2020, 20:13
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